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Melancholic

Regia di Seiji Tanaka vedi scheda film

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La recensione su Melancholic

di supadany
6 stelle

Far East Film Festival 21 – Udine.

È proprio vero che non esistono più i lavori tranquilli di una volta. Ormai, le insidie sono disseminate ovunque, camuffate per non farsi scoprire, almeno fino a quando non è il momento di piombare in scena e agire senza intralci. A quel punto, lo sventurato lavoratore è già una vittima inconsapevole e attraversa una fase di sbigottimento, nella quale l’uscita corretta non lo attende in bella vista. A volte, nemmeno è più a disposizione, la congiuntura si fa dannatamente impervia e le traversie da affrontare non ammettono una proroga.

Pensando positivo, potrebbe sempre essere l’occasione per levarsi la ruggine di dosso e impostare un futuro migliore.

Solleticato dalla possibilità di rivedere quotidianamente Yuri, Kazuhiko, un laureato che non ha ancora identificato la strada maestra, decide di lavorare in un bagno pubblico.

In breve tempo, scoprirà che di notte questo luogo viene utilizzato come mattatoio, dove il sicario Kodera conduce quegli uomini che la yakuza ordina a Mr. Azuma, titolare dell’esercizio, di eliminare.

Allettato da guadagni cospicui, inizialmente Kazuhiko sta al gioco, ma gli eventi lo costringono ad allontanarsi da affetti irrinunciabili cosicché, con il giovane killer e collega Matsumoto, sceglie di non subire più supinamente gli ordini e allestire una temeraria controffensiva.

scena

Melancholic (2018): scena

Al contadino non far sapere quanto è buono il cioccolato con le pere.

Melancholic è un film sfuggente, una contaminazione di generi e sfumature, dinoccolato in aderenza pressoché totale con il suo protagonista Kuzuhiko, un ragazzo timido e taciturno, un loser con un potenziale inespresso e facilmente orientabile.

Pertanto, ondeggia tra più sponde, continuando a immettersi su una rotonda per poi tentare uscite diverse. È prevalentemente buffo, passa dall’essere in uno stato di apparente calma piatta all’agitazione incontrollata, si comporta come una commedia sui generis e poi invade il territorio del noir e della yakuza, in parte è un dramma generazionale, ma poi apre una finestra anche sull’amore.

Un andamento gibboso, perdonabile in un’opera giovane, che decide di non isolarsi in un cantuccio riparatore, una variazione stralunata del bildungsroman, circondata da uomini pericolosi, condita da un sense of humour stridente, con dialoghi e situazioni che finiscono amputati, proprio perché è il protagonista stesso a viaggiare nell’insicurezza o, in alternativa, mostrare una determinazione fittizia. 

Ne scaturisce un film originale e sfilacciato, che accusa qualche svarione di troppo soprattutto in occasione della curva decisiva (va bene tutto, ma le favole anche no), risultando tuttavia intrigante dall’inizio alla fine, in virtù di una stravaganza da testa tra le nuvole, una malinconia desiderosa di trasformarsi in altro, un frutto ancora tutto da scoprire.   

Polifonico, tra ostacoli e speranze.

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