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A Home with a View

Regia di Herman Yau vedi scheda film

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La recensione su A Home with a View

di supadany
5 stelle

Far East Film Festival 21 – Udine.

Home sweet home. Con le molteplici querelle che affastellano gli impegni quotidiani, almeno tra le pareti di casa sarebbe auspicabile staccare la spina e rilassarsi. Invece, tra la condivisione familiare e il vicinato, c’è sempre un problema da rincorrere, una questione aperta da risolvere.

Inevitabilmente, in una metropoli con un’alta densità di popolazione, gli ostacoli sopraggiungono con una frequenza maggiore, il caos cinge d’assedio gli sventurati cittadini allontanando la ragionevolezza e la soglia di sopportazione è pericolosamente sospinta verso il punto di rottura.  

La numerosa famiglia Lo abita in un’area sovrappopolata di Hong Kong. Il capofamiglia Wai-man (Francis Ng) cerca di mantenere la calma e di far prevalere il buon senso, sua moglie Suk-yin (Anita Yuen) ha i nervi a fior di pelle per il rumore scatenato da un macellaio che vive al piano di sopra, mentre i figli Bun-Hong (Ng Siu-hin) e Yu-Sze (Jocelyn Choi) scovano sempre un motivo per battibeccare e il nonno (Cheung Tat-ming) sta inesorabilmente perdendo colpi.

Se non altro, trovano un’estemporanea oasi di pace riunendosi a osservare quello scorcio di mare che, in mezzo a tanti palazzi, riescono ancora ad ammirare, cosicché quando Wong (Louis Koo), un nuovo vicino, installa un cartellone pubblicitario che ne ostruisce la visuale, il panico prende il sopravvento.

Dopo essersi inutilmente affidati alle istituzioni locali, cercheranno in tutti i modi di convincere Wong a rivedere il suo progetto commerciale.

scena

A Home with a View (2019): scena

 

Estrapolato da una pièce teatrale, A home with a view ne mantiene l’impronta, con un numero limitato di scenari e dialoghi protratti (anche troppo a lungo).

Con una natura da black comedy, sempre più evidente e invadente fino all’eruzione finale, scodella comportamenti negativi a getto continuo, elementi cardine di una metropoli in espansione spasmodica.

Così, l’emergenza abitativa provoca il proliferare di alloggi minuscoli e abusivi, la burocrazia fa acqua da tutte le parti ponendosi come principale regola quella di non correre rischi controproducenti alla sua stessa sopravvivenza, i cittadini più scaltri infrangono la legge senza alcun timore reverenziale e i malcapitati di turno sono spinti all’esasperazione.

Questi elementi definiscono e contornano il casus belli, per cui una diatriba tra privati non è risolvibile chiamando in causa le istituzioni, e il primum movens, riscontrabile nella strenua tutela dell’interesse personale.

Due direttive convergenti e sciorinate da Herman Yau attraverso una satira chiassosa, con dialoghi a più voci tendenzialmente contraddistinti da un accumulo eccessivo e una qualità altalenante dei testi.

Una saturazione incentrata su una famiglia squinternata, valida nella configurazione di malcostumi persistenti, che però sforna tanto fumo e poco arrosto, rintracciabile perlopiù in un epilogo scorretto e cinico, uno dei pochi acuti perfettamente udibili in mezzo a tanto marasma (anche di volti noti, ad esempio Anthony Wong incarna un personaggio laterale).

Esagitato, il più delle volte senza un apparente motivo.

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