Regia di Yue Lü vedi scheda film
Far East Film Festival 21 – Udine.
Poste al cospetto delle peggiori avversità, le persone cambiano completamente atteggiamento. In questo stato, le divisioni tra buoni e cattivi o tra ricchi e poveri, non funzionano più, poiché chiunque si ritrovi con l’acqua alla gola è pronto a tutto, anche ad azioni che non avrebbe mai immaginato di riuscire a compiere.
Nessuno stimolo ha effetti maggiori di quelli provocati da un figlio in pericolo di vita.
Li Jie (Yao Chen), un avvocato di successo, precipita in un incubo quando scopre che la sua neonata è scomparsa nel nulla, insieme a Sun Fang (Yili Ma), la babysitter.
Gli indizi spingono a pensare che quest’ultima sia implicata in prima persona e, mentre la polizia comincia a indagare seguendo la procedura, Li Jie agisce in maniera indipendente, ricostruendone abitudini e legami nel tentativo di rintracciarla.
Con Lost, found, il regista Yue Lü – principalmente noto come direttore della fotografia (La battaglia dei tre regni, Aftershock) – affronta, sviscera o lambisce parecchie questioni sensibili, ricorrendo a uno schema drammatico per intensità emotiva e da thriller per quanto concerne la cadenza dell’andatura.
L’ossatura, chiara dal primo fotogramma, verte sulla disperata ricerca di una madre per rintracciare la figlia rapita, intorno a cui affiorano altri dettagli e personaggi con il compito di infarcire la portata di punta.
Principalmente, le considerazioni sono focalizzate sullo stato di fatto della condizione della donna e dei rapporti di classe nella società cinese, due involucri che ne contengono molti altri (ad esempio, la famiglia, l’economia, l’accesso alle cure più costose). Su entrambi gli orizzonti, risaltano le difficoltà e le lotte quotidiane indispensabili per andare avanti, rappresentate dal personaggio di Sun Fang - incarnata da Yili Ma in un’interpretazione disperata -, complementare alla protagonista.
Un punto di vista determinante per contrappuntare il nesso tra causa ed effetto, il tragitto di una reazione a catena che parte dal basso per poi dirigersi laddove sono rintracciabili le soluzioni (generalmente in alto).
La scansione di questo movimento avviene piombando da un piano temporale a un altro (flashback), è nervosa, con dossi emotivi e una concitazione che raggiunge frequenze elevate. Frangenti in cui Lost, found rischia grosso, con enfatizzazioni sempre più macroscopiche e sbracciate che, con l’avvicinarsi dell’epilogo, divengono contigue.
Un pattern contestabile ma predisposto volontariamente - almeno come modello di sostegno - per valorizzare al massimo la star della produzione. Dal canto suo, Yao Chen risponde immettendo un alto quoziente partecipativo, tra un’angoscia straziante, una freddezza glaciale e la caparbietà di chi non può permettersi di fallire.
Soffocante e incalzante, con numerose smagliature.
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