Regia di Muye Wen vedi scheda film
Far East Film Festival 21 - Udine.
La legge è al di sopra di ogni cosa. Verissimo ma, entrando nel merito, il problema sorge quando prende una direzione indipendente dalla giustizia, a tutela dell'interesse di pochi, a discapito dei più deboli.
In una condizione del genere, la disobbedienza è un atto sbagliato solo sulla carta, comprensibile anche se subordinato a un vantaggio personale. Per fare il passo decisivo, e concepire quali siano le priorità, c'è sempre tempo.
Shanghai, 2004. Cheng Yong (Zu Sheng) sembra andare tutto storto. Suo padre è gravemente malato, rischia di non poter più vedere suo figlio e l'attività commerciale che gestisce fa acqua da tutte le parti.
Quando conosce Wang (Chuan-jun Wang), gravemente malato di una forma di leucemia, ha un'illuminazione: importare illegalmente un farmaco indiano vietato, poiché efficace come il paritetico cinese solo molto più economico.
In poco tempo, sistemerà tutti i problemi economici, appassionandosi alla causa di migliaia di pazienti, ma finirà anche per attirare le attenzioni della polizia, sollecitata a intervenire dai boss del settore farmaceutico, con il caso assegnato a Cao Bin (Yiwei Zhou).
Per comprendere un tema/problema/fenomeno è indispensabile entrarci a contatto, vedere con i propri occhi gli effetti che comporta e conoscere da vicino chi ne è toccato in prima persona.
Per farsi comprendere, ottenendo il massimo ritorno in fatto di attecchimento, l'abbinamento migliore da esporre contempla la riflessione e la leggerezza dell'esposizione, amalgamati in una mistura composta da sorrisi e lacrime, possibilmente mescolati in dosi bilanciate.
Questa è esattamente la combinazione utilizzata da Dying to survive, clamoroso - e parzialmente incomprensibile - successo di pubblico al box office cinese, con un incasso finale di oltre 450 milioni di dollari.
Dunque, ha insindacabilmente vinto il premio per la diffusione più riuscita di un messaggio, portando in trionfo l'impegno civile, con la solidarietà in copertina, tallonata dalla crescita umana di un uomo che passa dal pensare esclusivamente a sé stesso a sacrificare la libertà personale pur di soccorrere migliaia di malati tagliati fuori dalla copertura sanitaria (un diffuso vettore di malessere sociale).
Se il fine giustifica i mezzi, il regista Wen Mu Ye non dona alla pellicola una brillantezza supplementare. Nella prima parte, la più scombinata, le gag sono saltuarie, nella fase di mezzo, quella che innesca il cambiamento, procede per blocchi elementari, mentre in fondo sgancia le scene madri strappa applausi, con tutto il carico di commozione che ne consegue.
Il risultato complessivo è un assetto di demarcazione prettamente popolare, che bada esclusivamente al sodo senza mappare i particolari. Un modus operandi valido per veicolare il contenuto, una mission dichiarata e condivisibile, ma scarsamente lungimirante sotto ogni altro aspetto, con l'enfasi a piede libero e una penetrazione superficiale.
Chiassoso e discontinuo.
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