Regia di Donato Carrisi vedi scheda film
"Non mi viene in mente nulla." (cit.)
Old New Berlin, quartiere retrofuturistico di Roma, al giorno di ieroggi. Un coniglio mannaro con la congiuntivite semina il panico tra la popolazione, pare scrivendo sceneggiature a cazzo.
Donato Carrisi s’impaluda nelle sabbie (im)mobili da esso stesso inzuppate e, dopo il commestibile esordio di “la Ragazza nella Nebbia”, con questo “l’Uomo del Labirinto” (se là uno dei due colpevoli si evinceva a 3/5, qui sempre uno dei due è spiattellato in bella vista sin da subito, per merito di un evidente manichino dietro a un vetro smerigliato: la scusa è che gli spettatori normali non assistono al film sotto l’effetto di droghe psicotrope… anche se ciò aiuterebbe) la sua naïveté sublima ed evapora precipitando verso un denso gorgo di sicumera cristallizzandosi deliberatamente in un coacervo d’intenzioni scientemente raggomitolate che oramai diviene cifra, così come l’onnipresente assenza di un punto di riferimento spazio-temporale data tanto da una geo-sovrapposizione multistratificata (non-luoghi affastellati, toponomastica incrociata e, di conseguenza, un multi-linguismo italo-mitteleuropeo con amalgamanti inserti anglofoni, e in questo è il riferimento più diretto alle sorelle Giussani, più che l’enigmistico scambio di vocale nel cognome dell'ispettore) quanto da un crono-sisma eterno (l’oggettistica analogica e quella digitale convivono in un perdurante rito di passaggio sempre rimandato). E non se ne esce.
(Trotterellando.) "Dai!, forza ragazzi!, facciamone un'altra al volo!"
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Squadra che, ehm, vince non si cambia e perciò – con tutto molto più carico, pesante e greve – alla fotografia Federico Masieri, al montaggio Massimo Quaglia, alle scenografie Tonino Zera, alle musiche Vito Lo Re, alla produzione Colorado (Totti e Usai) e alla distribuzione Medusa.
Mentre al fianco di un Toni Servillo leggermente più cangiante, controllato e sfumato rispetto alla collaborazione precedente col romanziere-regista, ci stanno un Dustin Hoffman in versione “Salve, sono F. Murray Abraham e Renzo Martinelli mi paga le vacanze in Italia”, una splendida Valentina Bellè (ottima nel ruolo di Nina in "Amori Che Non Sanno Stare al Mondo" e nei panni di Olivia in "Volevo Fare la RockStar") che qui si autodoppia (perché, Bellè, perché, hai accettato quest'auto da fè?!) come, ebbene sì, nemmeno l’Alba Rohrwacher di “Hungry Hearts” (livelli pensavo irraggiungibili nel mainstream professionista), un Vinicio Marchioni che, come sempre, bene o male la parte se la porta a casa perché in fondo, dentro, è un attore nato, una brava Katsiaryna Shulha e la coppia eterogenea composta da un buon Filippo Dini sottotono e un discreto Orlando Cinque parodistico. Chiudono il cast Sergio Grossini, Carla Cassola, Stefano Rossi Giordani (l’uomo dotato di protesi fonatoria: per un momento ho pensato che, non accreditato, potesse avergli prestato la voce Alessio Boni, ma poi ascoltando quella originale dell’attore più giovane ho scartato l’ipotesi), Marta Paola Richeldi, Diego Facciotti, Sergio Leone, Luis Gnecco e Riccardo Cicogna (con un nevo di Becker melanocitico pittato con l’UniPosca in piena faccia).
Comunque c'è del ritmo, ma, a prescindere dal ridicolo involontario, nessuna tensione, né tantomeno un'ombra di pathos.
"Non mi viene in mente nulla" (cit.) d'altro, niente, su “l’Uomo del Labirinto” (che poi, sì, va beh, certo, è pur sempre la prima (e l'ultima) frase di un'intera pagina sul film...
* * ½ (**¾) - 5.25
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