Regia di Donato Carrisi vedi scheda film
Samantha Andretti è stata rapita una mattina d'inverno mentre andava a scuola. Quindici anni dopo, si risveglia in una stanza d'ospedale senza ricordare dove è stata né cosa le è accaduto in tutto quel tempo. Accanto a lei c'è un profiler, il dottor Green: sostiene che l'aiuterà a recuperare la memoria e che insieme cattureranno il mostro. Ma l'avverte che la caccia non avverrà là fuori, nel mondo reale. Bensì nella sua mente. Bruno Genko, invece, è un investigatore privato. Quindici anni prima è stato ingaggiato dai genitori di Samantha per ritrovare la figlia. Adesso che la ragazza è riapparsa, sente di avere un debito con lei e proverà a catturare l’uomo senza volto che l'ha rapita. Ma quella di Genko è anche una lotta contro il tempo: un medico gli ha detto che gli restano due mesi di vita. E, per uno scherzo del destino, quei due mesi sono scaduti proprio nel giorno in cui Samantha è tornata indietro dal buio. Chi giungerà prima alla verità: l'investigatore o il profiler? Ma siamo sicuri che, alla fine di tutto, ci sia un'unica verità? Questa, dopotutto, non è un'indagine come le altre: qualcuno ha un segreto, qualcuno sta mentendo. E da qualche parte, là fuori, c'è un labirinto pieno di porte. E dietro ognuna si nasconde un enigma, un inganno
Secondo lungometraggio per Carrisi che adatta un altro suo romanzo dopo La ragazza nella nebbia.
L’impianto del film è quello di un thriller psicologico che trova elementi in comune con il whodunit.
Partendo da un soggetto che avrebbe basi di interesse Carrisi distrugge quasi ogni cosa nel trattamento e nella stesura finale della sceneggiatura.
Lo sviluppo dell’intreccio è articolato in un montaggio alternato che segue le diverse "storie" che sono tutte collegate tra loro sul piano narrativo .Carrisi però sembra perdere il controllo o la misura del tutto e se le sue intenzioni erano di creare un rebus anche per lo spettatore oltre che per il protagonista ottiene invece come risultato quello di confondere e confondersi.
La messa in scena non aiuta e la regia è ambiziosa ma fallimentare: la MdP la maggior parte delle volte non trova i giusti movimenti o i giusti posizionamenti. Alcuni scelte, come le sequenze in auto del protagonista in quei stradoni lunghi e dritti (ma che città sono??) sono mal realizzate oppure i flash allucinati (?) del protagonista non trovano ne senso logico ne efficacia espositiva arrivando quasi al trash.
Il protagonista intrepretato da Toni Servillo possiede alcuni stilemi del noir nella sua solitudine senza speranza di salvezza. Una prova attoriale da parte di Servillo non sempre misurata e con qualche eccesso ma nel complesso decente. Penso che qualcuno della produzione abbia rapito un parente di Dustin Hoffman per costringerlo a recitare in questo film. Brutta prova per il resto del cast, “miglior peggiore”: Valentina Bellè.
C’è ben poco che funziona ne “L’uomo del labirinto”,il ritmo in realtà non è male ma quando sembra che stia per ingranare inesorabilmente frana su se stesso, si incarta in una diegesi mal articolata nella scrittura e nell’ impianto registico ricco di lacune tecniche,con una cattiva direzione degli attori e una punta di presunzione.
Voto:3
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