Regia di Donato Carrisi vedi scheda film
Purtroppo non è un “gioco” (col quale sollazzarsi nelle segrete pseudolabirintiche di menti drogate di attenzioni): L'uomo del labirinto è seri(o)ssima messinscena del nulla, ipersatura cromatura del grigio anonimo, sgangheratissima parodia involontaria, paludosa architettura del mistero (multiplo), masturbatoria nonché molesta ricerca degli applausi (finti, da talk show).
Ancor peggio de La ragazza nella nebbia (si accettano scommesse per il prossimo titolo: I bambini dalle unghie pallide, La donna con la colla, I morti che fanno cose ...), l'ultima fatica carrisiana ansima, affannoso e forsennato, inseguendo modelli alt(r)i e bramando glorie (che non gli appartengono).
D'altronde, s'è capito: il Nostro aspira a nobili campioni del genere degli anni novanta ma non riesce nemmeno a sfiorare – figurarsi a replicare – formule, trucchetti, storie, struttura, resa della mole di telefilm e fiction e programmi televisivi di infimo livello tra il poliziesco e il thriller e la cronaca nera ai quali si è evidentemente abbeverato.
Ogni cosa è derivata, risaputa, rimasticata fino a un incredibile accumulo mortifero e ubriacante, funesto e caricaturale, eccitato e schizofrenico: dalla prostituta da “salvare” all'indagine febbrile del detective per caso male in arnese, dai personaggi “ambigui” e “strani” (prevedibilmente macchiette risibili) alle frasi/sentenze/definizioni da biscotto della fortuna («la caccia non è la fuori ma dentro la tua mente», «i figli del buio»), dai poliziotti stolidi alle sfacciate atmosfere da Apocalisse imminente (con predicatori esaltati alla radio e telegiornali sensazionalisti) già spacciate in un esibizionismo estetico che ipercaratterizza gli interni (il presunto labirinto; la magione della escort; il "limbo" ovvero l'assurdo ufficio delle persone scomparse) mentre sorvola sugli esterni, generici e generalisti.
Ma se l'impianto formale, fatto di riprese e inquadrature dalla limpidissima (e quindi fumosa) meccanica (peraltro alcuni movimenti della mdp e gesti degli attori non oltrepassano la linea della mera scopiazzatura) nonché dalla accesa coloritura, serve unicamente a dare “un tono all'ambiente”, il racconto si rivela un'indicibile, fuffosa sequela di fatterelli da riporto e materiale di risulta.
Non solo incongruenze, scorciatoie, facilonerie dominano facilmente (si veda tutta la sequenza del cacciatore con la voce metallica), ma anche l'immancabile, stordente sindrome da didascalismo e “spiegonismo” contribuisce ad affossare la benché minima possibilità di ricostruzione decentemente credibile (ok, non occorre il flashback per capire che l'investigatore si era perso il cellulare giacché lo avevi fatto ben intuire con un cavolo di ralenty; solo per dirne una, e per non dire della collezione di finali).
Completano il misero quadretto tanto la simbolistica e la numerologia ricorrenti (attenzione al numero 23 e all'immagine del coniglietto, che appare già su una piastrella del bagno nel quale Servillo si punta una pistola al volto: che genialate mai viste, nevvero?) quanto la farsesca, sciagurata onomastica “mista” dagli ovvi intenti.
Ma le ambizioni banalmente si trasfigurano nella pretestuosità sciocca (anziché scioccante) e convulsa di un prodotto informe, vuoto, fasullo in ogni sua componente.
Tutto concorre alla spasmodica ricerca dell'effetto sorpresa: le patetiche svolte e rivelazioni, e i quattro-cinque twist del/dei finale/i (tra cui l'ultimissima, attesissima scena dell'incontro tra i due big) smorzano una tensione già esilissima e relegata negli angusti spazi di una puerile confezione narrativa da giallo di quart'ordine.
Difettando di consistenza, grana, strutturazione, profondità, non rimangono che l'inseguitissimo “respiro internazionale” e la (malriposta benché inevitabile) autocelebrazione che portano altresì il regista-autore a ingaggiare, sbattendogli la mdp in faccia, il malcapitato Dustin Hoffman – invero un po' imbolsito – che di mestiere cerca di salvarsi e salvare la fatiscente, insulsa baracca mentre è costretto a dialogare nella propria lingua con una Valentita Bellè che si auto-doppia (dilatando così a dismisura l'incredibile cagnaggine di costei).
Ah, sì, ci sta lui, eh, Servillo, col pilota automatico servilliano; se a qualcuno interessa.
Che pena di film.
["cagna ... Cagna maledetta!" cit.]
[rosso qua rosso là ed è subito Twin Peaks!]
[quando gli spettatori fanno "ooh"!]
[Buh! Paura, eh?]
['zzo me l'ha fatto fare ...]
[Marlowe e la Signora in giallo me fanno 'na pippa]
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