Regia di Charles Chaplin vedi scheda film
La frustrazione personale per il trattamento ricevuto da Chaplin negli USA si traduce sullo schermo in una satira sociale, politica e culturale mordente ed esilarante, in certi aspetti addirittura profetica, che divertendo pungola la riflessione sui pericoli della società consumista e soprattutto del maccartismo.
Il re Shahdov (Charlie Chaplin), rovesciato nel suo piccolo regno europeo da una rivoluzione, si rifugia a New York, terra di libertà e opportunità, dove diviene immediatamente fulcro della curiosità della stampa, della tv e dell'alta società. Il re si stabilisce in una lussuosa suite del Ritz, ma è in realtà rimasto al verde dopo essere stato derubato di tutti i suoi beni pubblici e privati dal corrotto ex primo ministro. Travolto dal rutilante mondo newyorkese, il re diventa suo malgrado testimonial di vari brand, ingannato della scaltra pubblicitaria Ann Kay che lo fa riprendere con telecamere nascoste durante la cena organizzata in suo onore, nel corso della quale il sovrano si stupisce di vederla di tanto in tanto lanciarsi in incongrue tirate promozionali per deodoranti e dentifrici. Ma poi il sovrano, bisognoso di soldi per mantenere il suo stile di vita agiato, mette da parte la dignità regale e si presta dietro lauto compenso a reclamizzare un imbevibile whisky.
La commedia precorre i tempi nel satireggiare l'invadenza della pubblicità televisiva e la sottomissione di ogni attività alle logiche implacabili della promozione commerciale attraverso i mass media, nonché il fanatismo delle masse per le celebrità, apparendo quasi profetico nel mettere alla berlina le derive consumistiche e massmediatiche che domineranno in maniera crescente la vita sociale nei decenni successivi (le telecamere televisive nascoste dietro i muri dell'appartamento durante la festa sembrano addirittura preconizzare i reality show!).
Un Re a New York precorre e ridicolizza persino l'ossessione per la chirurgia plastica, con Shahdov indotto a sottoporsi a lifting per risultare più fotogenico, la faccia tirata al punto di diventare irriconoscibile e di non poter neanche ridere senza far saltare i punti.
Altro tema di stringente attualità nel 1957 e ancora adesso è l'energia atomica con le sue potenzialità positive e distruttive (il re, che ha perso il trono per essersi opposto alla bomba atomica, coltiva invece piani utopici basati sull'uso dell'energia nucleare a fini pacifici).
L'ultimo e più sentito j'accuse è quello contro il maccartismo, a partire dall'incontro in una scuola di Brooklyn col ragazzino Rupert (interpretato dal figlio di Chaplin, Michael), studente brillante e precoce in cultura ed intelligenza ed avverso a qualsiasi forma di potere governativo, i cui genitori sono sotto processo davanti al famigerato Comitato per le Attività Anti-Americane.
Il regista riflette nel film la propria vicenda personale, dopo aver abbandonato pochi anni prima gli Stati Uniti offeso dalle vitrioliche accuse di comunismo e immoralità da parte di politici e stampa. Il personaggio anticonformista del giovane Rupert, che odia Superman e legge Marx, è quello che maggiormente l'autore utilizza per mettergli in bocca le proprie idee e rispondere alle accuse che gli erano state mosse, mostrandone l'assurdità persino agli occhi di un bambino (“devi essere comunista per leggere Karl Marx?”). Chaplin mette così alla berlina l'assurdità di una paranoia in cui persino un bambino può essere sospettato come comunista, denunciando il clima di sospetto e terrore incompatibile con i valori di una società democratica e liberale.
Nel film, godibilissimo col suo ritmo vivace e tempi comici perfetti, non mancano le scene slapstick della tradizione chapliniana: gli scherzi dei bambini durante la visita a scuola, le scenette in bagno davanti alla bellezza seminuda di Ann Kay, le esilaranti gag dello spettacolino a cui assiste al ristorante e che gli fan partire i punti per le risate sembrano ispirate al suo vecchio Charlot, e come ultimo sberleffo il protagonista finisce per innaffiare con una pompa idraulica gli arcigni membri del comitato inquisitore.
Ma a Chaplin preme soprattutto veicolare un messaggio di denuncia verso certe derive della società americana ed in primis la minaccia alla libertà rappresentata dalla paranoia anticomunista di Mc Carthy. Il film si solleva ben oltre pesantezza della predica, perché che Chaplin , al penultimo film della carriera, è ancora ben capace di esprimere la rabbia per la situazione politica senza smarrire la leggerezza di tocco che lo ha reso immortali i suoi capolavori. La frustrazione personale per il trattamento ricevuto negli USA si traduce così sullo schermo in una satira sociale, politica e culturale mordente ed esilarante, che divertendo pungola la riflessione sui pericoli di quella che nel finale si augura possa essere una fase passeggera della storia americana. Ma nel frattempo, il re, come il regista, ritornerà a vivere in Europa.
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