Regia di Quentin Dupieux vedi scheda film
Conosco e apprezzo il Cinema grottesco di Quentin Dupieux, a cominciare da quel capolavoro del genere che fu "Rubber", uscito nel 2010. Un Cinema che sguazza nel non-sense, ma capace anche di porre qualche domanda allo spettatore e al Cinema stesso, a volte direttamente nella cinepresa. Non ho seguito tutti i suoi lavori, ormai una decina, e mi fa piacere ritrovarlo quest'anno alla Quinzaine De Réalisateurs, a Cannes 2019. Quasi un mediometraggio, il film supera di un manciata di minuti l'ora di durata, si avvale della presenza di una star del Cinema francese, ovvero Jean Dujardin, bravo senz'altro, che si porta sulle spalle del suo giubbino in pelle di renna, un po' tutto il film. Lui è un marito in fuga, un uomo solo, ossessionato da una giacca in pelle di renna, con le frange, che lo porterà, una volta indossata, in una spirale malata e folle, in compagnia di una ragazza, conosciuta in un piccolo paese di montagna, dove si è ritirato. Devo dire che Dupieux questa volta mi ha deluso: il regista anarchico e sorprendente di qualche anno fa, si è un po' rammollito, fa sempre del buon Cinema ma molto più tradizionale, dove le tipiche invenzioni del regista francese sono sfuocate da una storia piuttosto delineata, ridotta comunque ai minimi termini, che, sinceramente, non mi ha convinto e ha reso la visione piuttosto noiosa. Si cerca di capire dove questo George andrà a parare, lo si segue nella sua ossessione in tutto ciò che è in pelle di renna, nei suoi dialoghi surreali con la giacca, (questo sì è il vecchio Dupieux), ma, in fondo, non accade poi nulla di interessante. In compenso ne guadagna la pellicola, nel senso che è bel Cinema, ben girato, quasi classico, ma da lui mi aspettavo molto di più.
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