Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film
Kubrick ha probabilmente toccato qualunque genere concepibile, dalla fantascienza all'horror, al melodramma fino allo storico, per non dire l'erotico, ma questo "Arancia meccanica" risulta superiore a qualsiasi tipo di genere. Si potrebbe dire fantascientifico, per la distopia che immagina (una Londra ricostruita come una disastrata metropoli dove anche la civiltà verte verso la rovina), ma forse no perché è una distopia troppo realistica. Allora si potrebbe dire horror, per la violenta messa in scena che nel 1971 fece epoca e causò scandalo? No, è chiaro che il genere horror non c'entra niente. Allora semplicemente drammatico?
E' inutile cercare un genere già conosciuto, l'unico veramente corretto per questo capolavoro della settima arte è "filosofico". Di una semplicità disarmante e visivamente splendido, una riflessione profonda e 'simmetrica' sul libero arbitrio, in cui la violenza è solo uno dei modi di esprimersi dell'uomo e della sua infinita variabilità volitiva. Dall'accelerata scena dell'orgia fino al lavoro di montaggio, ci troviamo di fronte a un film dall'incridebile varietà stilistica, ma rigidamente controllato da un solo punto di vista, l'occhio simmetrico e viscerale di un Kubrick al suo stato migliore.
Mentre Alex e i suoi "drughi" vanno mimetizzandosi, con i loro indumenti bianchi, al bianco asettico di un mondo caduto a pezzi, la scienza e la ragione (che a livello generale risulta espressione del massimo sistema della Politica) elaborano un metodo per porre fine alla violenza del protagonista, ponendolo di fronte a violenza ancora più disumana, che, come per contrappasso, lo priva della sua volontà. Questo robot ricreato (spiazzante l'idea che l'"uomo buono" sia assolutamente disumano) subisce le cattiverie di ogni giorno, i normali disagi che la civiltà propone in continuazione più o meno fortemente: l'esercizio della vendetta. La famiglia lo abbandona, i suoi ex-amici drughi lo picchiano per ripicca alla celebre scena al ralenti in cui lui, nella prima parte del film, li fa cadere in acqua, e il compagno di una sua vecchia vittima lo sottopone all'ascolto forzato della Nona di Beethoven, che nella sua infinita bellezza prima Alex associava all'atto violento, ma che adesso è diventata strazio. Quando finalmente rinsavisce, la scena finale, in cui può tornare a fare amore violentemente con una donna, evita saggiamente il kitsch perché ha appena detto, con gloria e maestosità, che l'uomo di per sé non ha speranza, però forse potrà rimanere "umano". Salvaguardiamo la nostra umana perversione.
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