Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film
“Un titolo ben stronzo. Chi ha mai sentito di arance meccaniche?”. Questo è il commento di Alex alla vista del saggio che lo scrittore sta stendendo mentre i drughi gli entrano in casa, prima di essere massacrato di botte e vedersi violentare la moglie (esperienza parzialmente autobiografica per Burgess, a cui tre soldati stuprarono la moglie durante la guerra). Poi la lettura prosegue: “Il tentativo d’imporre all’uomo, una creatura capace di sviluppo e di dolcezza, capace alla fine di attingere il succo delle barbute labbra di Dio, di cercare d’imporre, dico, leggi e condizioni appropriate a una creazione meccanica, è contro questo che io alzo la mia penna-spada”. Lo scrittore, persona civile e dalle idee progressiste, ha indubbiamente ragione; ma, quando si ritroverà in condizione di vendicarsi di Alex, neanche lui potrà resistere al richiamo della violenza. Perché la cultura non è un antidoto alla violenza: Alex vive sì in un quartiere degradato, ma ama la musica classica (i nazisti ascoltavano Beethoven, ci ricorda Kubrick nell’intervista in appendice al romanzo); e in prigione scopre la Bibbia, della quale apprezza gli episodi di sadismo. E tuttavia la violenza privata, per quanto crudele e gratuita possa essere, resterà sempre un gioco da bambini rispetto alla violenza esercitata dal potere: un potere che ha a disposizione tutte le terapie Ludovico immaginabili per disinnescarla, e che anzi può servirsi della stessa violenza privata per i propri fini (i drughi diventati poliziotti: dice niente, a noi che viviamo nel paese della Uno Bianca, della banda della Magliana e della scuola Diaz?). Una piccola questione filologica è legata alla conclusione del film: Kubrick si basò sulla versione americana del libro, priva dell’ultimo capitolo, e quindi i due finali divergono sostanzialmente; peraltro la circostanza appare un po’ strana, perché il libro è diviso in tre parti (che iniziano tutte con la frase “Allora che si fa, eh?”) di sette capitoli ciascuna, e in una versione con un capitolo in meno è difficile che l’asimmetria passi inosservata. Comunque, uno dei rarissimi casi in cui un grande romanzo ha prodotto un grande film (me ne viene in mente solo un altro: L’età dell’innocenza).
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