Regia di Bruno Dumont vedi scheda film
Una generazione perduta, una visione realistica, ma senza essere documentaristica, una quasi non presenza della regia lascia libero il campo a farci entrare nell’intimo di un gruppo di “Vitelloni” che vivono male la loro vita senza un lavoro, uno scopo e un ideale, frutto delle generazioni precedenti che hanno lasciato un terreno infertile e devastato. La sterilità di una vita inclassificabile sarà un campo fertile per far peggiorare le menti dei ragazzi che sempre più si sposteranno dalla parte della soluzione violenta ad iniziare dalla quotidianità. Il regista ha un tono prosciugato che non consente facili sentimentalismi, tutto è inquadrato in un contesto duro e senza speranza, un realismo sintetico direi, i ragazzi vivono in gruppo, ma la solitudine di tutti è la vera atmosfera che li avvolge; i loro silenzi, le corse in moto senza senso, le violenze senza scopo, la malattia del protagonista che appare nei momenti di vita. Un tipo di cinema diverso, con un linguaggio personale che sempre più nella visione del film riesce a farci concentrare sulla rappresentazione della storia, di fatto viene meno il moralismo del caso, ma ci si aggancia alla rappresentazione, giustamente, lasciando a noi, individualmente, con la sensazione che ne deriva, un giudizio personale. Gli attori non sono professionisti, ma abitanti del luogo, quindi un quadro ancora più aderente alla realtà ed alla problematica; una bella direzione della fotografia cozza volutamente con il racconto che porterebbe su altre strade tecniche. Il titolo originale è certamente più emblematico di quello italiano, che devia in un campo assolutamente estraneo al discorso del regista.
una storia che inquadra una fase generazionale
in debutto ottimo
un volto che esemplifica da solo
un corpo sinuoso ed efficacd
il ruolo della madre, molto efficace
il ragazzo arabo, vittima predestinata
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