Regia di Bruno Dumont vedi scheda film
Non regge il confronto con Dardenne e Loach, anche se Dumont ce la mette tutta per riscattare un copione debole (scritto di suo pugno) e interpreti poco convincenti. Lontano tanto dalla laconica moralità dei fratelli belgi quanto dal furore urlato del maestro inglese, Dumont opta per uno stile paradossalmente "quieto", concedendo spazio e tempo agli esterni della depressa campagna francese, specchio del tedio e del male di vivere che attanaglia la gioventù locale, e rompendo il grigiore con improvvisi scatti di rabbia impotente (penetrazioni vaginali, calci contro un muro, scorribande masochiste in motocicletta). Si vede che Dumont ha personalità come regista e in diversi momenti, specie nel finale poetico, indovina quel tono fatalista ed abulico che caratterizza il suo ritratto di "gioventù bruciata": peccato che questa gioventù (significativamente, l'ultima del XX secolo, non ancora la "internet generation" del villaggio globale) sia in balia di una sceneggiatura che, oltre a concedersi diverse approssimazioni e scappatoie, specialmente nei dialoghi, non concede ai personaggi il dovuto approfondimento psico-sociologico.
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