Due paesi: Iran, Greecia. Due versioni di vita. Quella di un padre e una madre convinti che il figlio sia a studiare ad Atene. E quella di un figlio che ha mentito su tutta la sua esistenza fuori casa. Un film potente e algido come le emozioni che trasmette: nette, pulite, chirurgiche.
Panorama
Due paesi: Iran, Grecia. Due versioni di vita. Quella di un padre e una madre, strettamente mussulmani, convinti che il figlio sia a studiare ad Atene. E quella di un figlio sparito, Babak, che ha mentito su tutta la sua esistenza fuori casa. Un racconto potente e algido come le emozioni che trasmette: nette, pulite, chirurgiche.
Questo film ha il sapore della poesia iraniana; da Hafez, Rumi ed altri innestati come Coleman Barks, su tematiche come amore e la sua ricerca, la rinascita. Ha altresì il sapore della perdita. Della sconfitta. Della non appartenenza ulteriore. E ha il retrogusto della cultura greca, della psicanalisi, delle sue tragedie e miti da Edipo e Tiresia in poi, accostate alla libertà occidentale contemporanea e alla crisi economica, politica di un'Europa frastornata.
Grande filmografia, quella iraniana e ancor più la greca. Etemadi è iraniano, ma vive da anni in Grecia ed incarna così l'eccellenza delle due. Questi registi possiedono forse dei geni diversi che riescono a narrare senza dire, a immaginare senza pensare, a condurre senza guidare?
Vedendo Pari, che è anche il nome della madre del regista, la risposta appare essere positiva.
Melika Foroutan è incredibile nella recitazione, nel ruolo della protagonista, Pari appunto; scarna e credibile, assomma in sè le preoccupazioni di una sensibile madre che legge le tracce del figlio che ha partorito, scomparire sulla sabbia, come cancellate da un'onda e piano vederlo inghiottire nel nulla, in un mare di mistero e indifferenza. Senza conoscere la lingua, piena di titubanze, fragile, in un paese straniero, quando l'amato figlio non si presenta in aereoporto a prenderla, le sue certezze, date anche da compromessi per un benessere familiare, piano piano iniziano a vacillare e sgretolarsi.
C'è da dire che la città di Atene è un'altra silenziosa e presente protagonista; barricata tra se sè stessa e i suoi lacrimogeni, tra cassonetti incediati di strade notturne deserte, tra scontri e attivismo politico e una palette cromatica di blu, magenta e cremisi, ci insegna che c'è ancora tempo per affermare la giustizia e i propri valori, che siamo tutti cittadini e attivi.
In questo viaggio di ricerca del figlio Pari però ritrova se stessa e un senso di libertà e respiro, anche sessuale che aveva smarrito e sepolto da tempo.
Costruzione e distruzione di vite, per un qualcosa di interno, una spinta interiore non precisata, ribelle e violenta verso i canoni ristretti di un paese affascinante, l'Iran, che non concede, ancora oggi nel XXI secolo, alcuna creatività disgiunta dal regime.
Un paese che valuta con censura doppia e pena di morte chiunque violi le regole religiose, che coincidono con quelle politiche, persino tra attori, artisti e cineasti.
Forse in Pari il regista ha voluto esprimere in modo molto subliminale quello che si prova a vivere così, magari con un piglio autobiografico nell'incapacità totale di esprimersi liberamente, inserendo in un anarchico, ribelle, che si accosta e trova amore solo per strada, una sua proiezione o quella di molti che si dissociano dal loro paese e ne fuggono.
Una co-produzione greca, bulgara, francese e olandese rende questa pellicola un autentico viaggio tra il se e la relazione con l'identità di provenienza, i trascorsi e i blocchi non solo familiari, ma anche di stati, religioni e paesi da cui si proviene che, volenti o nolenti, formano le personalità, quando come qui, non contribuiscano invece a farle implodere!
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