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Strade perdute

Regia di David Lynch vedi scheda film

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La recensione su Strade perdute

di 79DetectiveNoir
7 stelle

Capolavoro, ciofeca o semplice mega-trip di un Lynch esagerato? Ai posteriori della Arquette, no, ai posteri la durissima, ardua sentenza. Il film non vale una sega? E Robert Loggia era nelle logge di Twin Peaks?

Bill Pullman

Strade perdute (1997): Bill Pullman

Balthazar Getty

Strade perdute (1997): Balthazar Getty

Robert Blake

Strade perdute (1997): Robert Blake

Balthazar Getty, David Lynch

Strade perdute (1997): Balthazar Getty, David Lynch

 

Ebbene oggi, per il nostro consueto e speriamo apprezzato appuntamento coi Racconti di Cinema, disamineremo l’oramai celeberrimo Strade perdute (Lost Highway), incensato eppur ancora controverso opus del ‘97 firmato da David Lynch, recentemente restaurato nella nuova versione, potremmo dire, a livello di pigmentazione più raffinata e al suo primigenio nitore ripristinata in ogni suo antico, estasiante colore netto e lucido.

Film della durata, corposa e dall’intreccio volutamente contorto, financo esoterico, di due ore e un quarto, Strade perdute, ai tempi della sua uscita nelle sale mondiali, fu vietato ai minori di 14 anni per via d’alcune scene fortemente violente e del notevole utilizzo di nudi ad alta gradazione erotica che potrebbero turbare il pubblico più facilmente impressionabile e soprattutto minorenne.

Invero, non v’è nulla di particolarmente scabroso in tal pellicola e non è chiaramente ravvisabile niente di particolarmente sensazionalistico, semmai, per i suoi cultori più accaniti e sfegatati, Strade perdute è solamente un film sensazionalmente monumentale, epocale e intoccabile. In quanto, i suoi più strenui ammiratori lo reputano apoditticamente un capolavoro inarrivabile e assolutamente incontestabile, a spada tratta affermando ciò in modo incontrovertibile e robustamente assertivo.

Ma è davvero così? Ovvero, Strade perdute è veramente una totemica vetta cinematografica impari oppure è un’opera ampiamente sopravvalutata che andrebbe invece ridimensionata e, col senno di poi, dopo averla più oculatamente riveduta e scandagliata, opportunamente sarebbe da giudicare in maniera assai meno entusiastica? Nelle prossime righe tenteremo di enucleare ed eviscerare brevemente, naturalmente secondo il nostro punto di vista, la questione.

Se Cuore selvaggio fu sceneggiato interamente dallo stesso Lynch a partire da una novella dello scrittore Barry Gifford, stavolta invece quest’ultimo, da un suo soggetto originale, allestì lo script in concomitanza sempre con Lynch, però non basandosi giustappunto su nessun suo libro ma inventandosi ex novo la trama ivi, sinteticamente, da noi riferitavi sottostante. Accorciata e semplificata per non sciuparvi le sorprese in cui v’imbatterete.

Se dapprima volessimo trascrivervi testualmente la sinossi attualmente riportata su IMDb, subito lo faremo ma prestamente comprenderete bene che è decisamente approssimativa e non poco erronea...

All’indomani di un bizzarro incontro durante una festa, un sassofonista jazz viene accusato dell’omicidio della moglie e viene mandato in prigione, nella quale si tramuta inspiegabilmente in un giovane meccanico e comincia a condurre una nuova vita.

In verità, la vicenda narrataci è notevolmente più arzigogolata e sfaccettata e nessuna sintesi, seppur ampia o approfondita, ne sarebbe esaustiva. Usando parole nostre, possiamo delinearla però entro i seguenti confini e/o contorni:

Il sassofonista di night club, Fred Madison (Bill Pullman), non più giovanissimo eppur di bell’aspetto e non attempato, vive in un’isolata villa di Los Angeles assieme alla conturbante e misteriosa consorte di nome Renée Madison (Patricia Arquette), dai capelli fulvi. Progressivamente, fuori dalla loro abitazione, vengono recapitati, a scadenze regolari, dei pacchi contenenti singolarmente delle VHS dal contenuto inquietante che in questa sede non sveleremo. Fred e Renée si recano a un party in quel delle colline di Beverly Hills, ai piedi di Hollywood, ove Fred viene avvicinato e angosciato da un basso, mascherato e losco figuro dal sorriso beffardamente sardonico (Mystery Man, alias Robert Blake). In tale cupa notte accade qualcosa di macabramente terrificante e Fred viene incarcerato, immantinente condannato alla sedia elettrica con l’accusa di uxoricidio. Al che, nella cella occupata da Fred, al suo posto compare un ragazzo di nome Pete Dayton (Balthazar Getty).

Il quale, visibilmente traumatizzato, viene poi liberato e, terminatone lo shock emotivo, riprende il suo lavoro di meccanico. Uno dei maggiori clienti dell’officina per cui lavora è il temibile, miliardario gangster Dick Laurent detto Eddy (Robert Loggia). La cui avvenente, biondissima compagna è la sexy Alice Wakefield. Forse, nientepopodimeno che la sosia, versione blonde, oppure la reincarnazione della succitata, trucidata Renée. La sua sorella gemella? Tra la femme fatale Alice e l’ingenuo Pete scocca fulmineamente la scintilla dell’attrazione passionale più imponderabile e letale?

Chiarissimi echi e rimandi espliciti a La donna che visse due volte in quest’arabesco e narrativamente dedalico Strade perdute, apripista concettuale, probabilmente, perlomeno progenitore filmico del posteriore, chissà se davvero superiore, Mulholland Drive.

Non sono infatti, oggi come oggi, coloro che considerano Strade perdutel’incipit embrionale, creativo e ideologico di un cineastico percorso lynchiano soltanto più avanti maggiormente modellatosi, affinatosi, perfezionato o realizzatosi più compiutamente e/o fantasiosamente coeso. Cosicché, è or chiarissima l’omogeneità delle sue variazioni tematiche da Lynch sviluppate fin da molto lontano, forse da sempre.

Sul sito aggregatore di medie recensorie metacritic.com, per esempio, Strade perdute riscontra odiernamente una discreta eppur insoddisfacente valutazione del 53% di opinioni positive. Molte delle recensioni, ivi raccolte ed espresse, infatti s’attengono a quelle emesse e concernenti il periodo in cui Strade perdute fu distribuito sul mercato. Dunque, ora come ora, sono probabilmente vetuste e in gran parte superate, anzi, per essere più esatti e corretti, son perlomeno circoscritte a ciò che superficialmente molta dell’intellighenzia critica pensò a riguardo e, aggiungiamo noi, a torto.

Sì, Strade perdute, a distanza di due decadi abbondanti dalla sua ufficiale release internazionale, cioè nel corrente 2023, è dai più ritenuto un capolavoro e Paolo Mereghetti, inizialmente scettico, nel suo Dizionario dei Film, lo liquidò sbrigativamente, tostamente descrivendolo in termini poco lusinghieri e irriverenti. Salvo poi tardivamente ricredersene, cercando vanamente, per ipocrita coerenza indifendibile, di modificarne il giudizio pur conservando pressoché intatta la sua striminzita esegesi confusa e campata per aria...

«Lynch e il cosceneggiatore Barry Gifford smontano i meccanismi del noir, costruendo un racconto che sfida ogni interpretazione razionale, puntando tutto su un’atmosfera onirica e inquietante, piena di paradossi spazio-temporali. Anche se il risultato non è tanto un viaggio sconvolgente nei meandri dell’inconscio, quanto una cinica presa in giro dello spettatore, e la spia di un’impasse creativa. Lynch mostra in questo film di essere ancora chiuso nei suoi incubi, senza saperli reggere con l’intensità che mostra nella prima mezz’ora del film: anche perché, dopo Twin Peaks, si tiene sempre aperta la facile scappatoia del nonsense... Pessime scene erotiche».

Parole dure e spietate che, sostanzialmente, inquadrano lo spirito, forse anche artistico, può darsi persino manieristico, che pervade questa criptica e indecifrabile opera lynchiana ma che allo stesso tempo risultano banali e figlie d’una penna pigra e distratta. Strade perdute, in effetti, malgrado la sua straordinaria perfezione formale e la fotografia, suggestiva e ipnotica di Peter Deming, raramente emoziona e, lungo il suo tragitto, soprattutto verso la fine, diviene soporifero e lento sin allo sfinimento, accartocciandosi su sé stesso in maniera forse involuta. Eppur perennemente trafigge e stordisce a ogni sua visione, avvolgendoci suadentemente nella sua morbosa spirale cinematograficamente deliziosa e irresistibile. Colonna sonora prodotta da Trent Reznor, firmata dal compianto Angelo Badalamenti e pezzi sonori da brividi per una sfilata di rock e hard metal con incursioni dei Rammstein, David Bowie, Lou Reed e una comparsata attoriale di Marilyn Manson.

Nel ricchissimo e variegato cast, Gary Busey, Natasha Gregson Wagner, Michael Maseee (Il corvo), Giovanni Ribisi, Henry Rollins e Richard Pryor.

 

di Stefano Falotico

 

Patricia Arquette

Strade perdute (1997): Patricia Arquette

Patricia Arquette

Strade perdute (1997): Patricia Arquette

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