Regia di Sam Mendes vedi scheda film
Quando ho visto "1917" lo scorso 23 febbraio non pensavo sarebbe stata l'ultima proiezione della stagione, ultimo spettacolo di una domenica sera che sarebbe diventata l'ultima in compagnia del grande schermo. I cinema avrebbero chiuso i battenti il giorno successivo e chi era lì per lo spettacolo sapeva sarebbe stato un congedo. Guardando a ritroso mi è sembrato consono mettere fine alla stagione cinematografica con un film di guerra. Probabilmente fra qualche anno collegherò il film di Sam Mendes, che racconta la Grande Guerra ed il suo carico di orrori, con la pandemia in corso nel nostro paese in questo 2020. La guerra del 15-18 fu il veicolo che consentì ad un'altra epidemia di diffondersi. I soldati furono i vettori che propagarono quel virus un secolo fa. Le condizioni di vita al limite del decoro, lo stato della scienza medica, la mancanza di igiene e la povertà diffusa facilitarono il compito alla malattia tramutando le trincee in lazzaretti. La spagnola viaggiò a braccetto con il conflitto mondiale per cui non mi sembra così fuori luogo l'accostamento fra il presente e il passato, tra un film di genere bellico e le battaglie che si combattono in questo momento nelle nuove e lunghe trincee dei reparti.
Se "1917" sembra perfetto per sigillare un ricordo da riportare in vita in un prossimo futuro il mio entusiasmo per il film non è stato, forse, proporzionale al ruolo simbolico di un film che racconta la storia di due soldati inglesi incaricati di inoltrarsi oltre le trincee nemiche e portare un messaggio alle prime linee in procinto di attaccare i tedeschi. Il messaggio è semplice: ritirata. I tedeschi hanno altri progetti e sono in ripiegamento tattico. La scelta degli ufficiali inglesi ricade sul caporale Lance Blake. Non per il suo coraggio ma perché il fratello Joseph è in prima linea. I legami di sangue sono forti e per questo la speranza che il giovane soldato completi la missione risulta più elevata. Deve salvare il fratello e i generali contano su questo. La ruota della sfortuna sceglie il suo compagno d'armi nel caporale Schofield. A lui spetta il compito di accompagnare Blake nell'impresa, una lotta contro il tempo che non ammette soste. Ci vorranno perlomeno otto ore di cammino per arrivare al luogo di assembramento delle truppe e consegnare la missiva. Così calcolano i due soldati alle prese con una missione più grande di loro. Il primo dilemma che il film suggerisce, il primo scoglio in cui si infrange continuamente il mio pensiero, è la questione temporale. Come si può condensare in due ore un tempo così dilatato? Il cinema ci ha abituato a questo ma per ridurre i tempi di attesa e simulare la caduta della sabbia nella clessidra si avvale dello strumento più banale e più onesto possibile ossia il montaggio. Sam Mendes però ha deciso di farne a meno per adottare il meccanismo del piano sequenza che dovrebbe presupporre l'esatta corrispondenza tra tempi filmici e tempi reali. Il trucco come può funzionare in siffatta condizione? Ho letto da qualche parte che Mendes non propone la cronaca dei fatti minuto per minuto ma rievoca i ricordi e le testimonianze di suo nonno che fu soldato nella Grande Guerra. I ricordi rifiutano di adeguarsi alla logica delle lancette di cui non sono prigionieri. Secondo quest'ottica ogni riferimento temporale verrebbe a cadere precipitando la ricostruzione dei fatti in un limbo atemporale che destruttura ogni rigore cronologico. Ma allora perché non ricorrere più semplicemente al montaggio per rendere l'idea di un marasma di ricordi fusi in un brandello di tempo? Devo essere sincero, per quanto mi sforzi di accettare questa affascinante spiegazione non riesco a comprendere la scelta del piano sequenza per narrare gli eventi. Le polemiche, su come sia stato girato, che sia finto o che sia vero, che sia unico o l'unione digitale di più piani, non mi interessano granché. É più interessante discutere del perché piuttosto del come. Francamente il perché è oscuro come le luci che inondano il film nella parte centrale del film.
Nonostante le perplessità sull'utilizzo del mezzo devo comunque ammettere che la prima parte del film è davvero ben riuscita. L'operatore di macchina gira intorno ai due protagonisti dando perfettamente l'idea di claustrofobica rappresentazione degli spazi fisici all'interno dei camminamenti. La mdp ora segue, ora precede, ora affianca l'affannoso incedere di Blake e Schofield creando essa stessa dinamismo. Il film è teso, le emozioni sono palpabili e finché il nemico è assente, ma se ne percepisce l'ombra, i muscoli rimangono contratti ed il cuore palpitante. Il gioco è fluido, e senza sbavature si incede nel teatro di guerra dei fossati, delle trincee, delle casematte e degli spari nemici occupando persino lo spazio aereo di un veivolo in rapida discesa. Il gioco procede spedito fino alla perdita di conoscenza di Schofield poi ho l'impressione che si impalli tra le fiamme della città occupata dove, anzi, i tempi si dilatano ulteriormente rendendo ancor meno comprensibile le scelte artistiche. In questo frangente Schofield è prigioniero della notte in una cantina dove appare l'unico personaggio femminile del film. Una giovane donna nascosta tra le macerie con una neonata cerca disperatamente aiuto ma il soldato può solo accudirle per un po' prima di rimettersi in marcia. La digressione nei buoni sentimenti è forse fuori luogo ed in generale la parte dell'assedio nella cittadina mi è sembrata confusa. Ho avuto la sensazione che la storia implodesse su se stessa come la caduta del soldato nel vuoto della cascata. Si risolleva nella diga nauseante di cadaveri in putrefazione a cui Schofield deve aggrapparsi per raggiungere la riva. Implode nuovamente nell'aulico canto intonato dai militari mentre il giovane soldato riappare, si siede ed, irrealisticamente, non viene notato dagli altri soldati, assorti nella contemplazione melodica anziché irrorati dell'adrenalina prodotta in gran quantità dalla paura e dall'agitazione dell'attacco. I rami fioriti dei ciliegi sul prato preannunciano una disfatta di vite umane a cui Blake reagisce con inguaribile ottimismo contadino confidando all'amico che non è la fine per quelle piante massacrate dai tedeschi. I semi a contatto della terra produrranno nuove pianticelle, nuove generazioni di uomini e donne e che solleveranno l'umanità dalle macerie che essa stessa ha prodotto... Peccato che i rami fossero fioriti anziché carichi di quei frutti rossi al cui interno si trovano i semi fecondi del futuro.
Finale straziante tra i feriti ricoverati negli ospedali da campo coperti da tendoni che evocano, or ora, immagini drammatiche mentre un eccesso di retorica finisce per abbassare ulteriormente il giudizio complessivo.
Meglio chiudere gli occhi assieme al soldato appoggiato alla ruvida corteccia dell'albero e pensare di aver guadagnato ancora un giorno di vita in un'epoca senza senso e senza valore. I tempi migliori verranno.
Cinema Teatro Santo Spirito - Ferrara
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta