Regia di Sam Mendes vedi scheda film
All’inizio e alla fine due scene bucoliche, quiete, piene di verde campagna e sognante melodie di violoncelli. In mezzo una giornata di guerra. E che guerra, forse la peggiore di tutta la storia dell’uomo, quella che ne ha rivelato improvvisamente il potenziale distruttivo in maniera dirompente e ahimè irreversibile. Sam Mendes (del quale sino ad oggi ricordavo solo due o tre titoli, nessuno dei quali archiviati coi miei ricordi migliori, tutt’altro) sceglie la tecnica del piano sequenza unico (o meglio, tagliato in due, per quello che è un ipotetico passaggio tra un primo tempo ed un secondo). A me poco importa che il piano sequenza sia vero o falso, o meglio: quando è vero (come nel caso dello splendido “Victoria” di Sebastian Schipper) non posso che applaudire, entusiasmandomi, all’abilità della regia e degli operatori di ripresa. Ma anche quando è falso, come in questo caso, rimango sempre comunque molto colpito, perché ritengo che la tecnica del piano sequenza sia quella che più di tutti riesce a tenere incollata l’attenzione dello spettatore, moltiplicando il fattore del coinvolgimento. E ritengo non sia nemmeno corretto imputare al “piano sequenza” la responsabilità di sminuire il valore del montaggio: i cambi di prospettiva, i saliscendi, i “precedi/insegui” che si alternano, la destrezza, insomma, del regista suppliscono benissimo alla mancanza di un vero “montaggio”.
E Sam Mendes, del quale, come dicevo, sino ad oggi non avevo nessuna considerazione, confesso che mi abbia molto (e favorevolmente) sorpreso. Quella giornata di guerra è a mio avviso diventato un film molto speciale, specie nella prima parte (la migliore, quella che vede essere ancora in coppia i due protagonisti. Dopo la favolosa scena del combattimento aereo (la caduta del velivolo abbattuto che quasi investe i due soldati è veramente mozzafiato e non può che rimandare ai grandi maestri del cinema, Hitchcock in primis ) il film perde un po’ di mordente, o meglio, ne acquisisce uno leggermente deviato rispetto all’inizio. E, confessione per confessione, devo ammettere che la scena della fuga notturna illuminata in controluce dai bengala che solcano le tenebre, se può essere considerato un momento di alta scuola di fotografia, dall’altra parte insinua per un attimo il sospetto che troppo estetismo sia stato messo in campo, a discapito (questa volta sì) della corporalità dell’impresa. Che è poi la corporalità della guerra, dei soldati, ma anche dei cavalli, o dei ratti, o dei petali di ciliegio che, come in una pioggia onirica alla Kurosawa, spronano l’eroe a proseguire nella sua impresa.
Gran bel film, speciale ed emozionante, al quale auguro molto successo sebbene per la prossima notte degli Oscar abbia già un mio preferito (che non è questo), e che comunque ha già battuto un bel colpo aggiudicandosi il primo premio nel recente BAFTA.
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