Regia di Sam Mendes vedi scheda film
Figlia di Dunkirk (e di Christopher Nolan) almeno quanto dei racconti di “nonno” Mendes, 1917 è sicuramente un buon film che riesce a mantenere tutto ciò che promette, ovvero una suggestiva esperienza cinematografica. Ma oltre a questo, poco altro. A ciascuno di noi (a partire dai giurati per gli Oscar) scegliere se questo è abbastanza oppure no.
Il regista Sam Mendes, reduce dal successo degli ultimi 007, Skyfall e Spectre, realizza quello che è a pieno diritto un “film sulla guerra” piuttosto che un “film di guerra”, in quanto l’ambientazione della Prima Guerra Mondiale del film non ha in realtà alcun intento storico o documentaristico e potrebbe benissimo essere stato invece un qualsiasi altro conflitto (anche la mancanza di elementi a determinare la realtà stessa cui stiamo assistendo, un piccolo avvenimento collegato però a uno degli scontri più importanti della guerra come la battaglia di Passchendaele nelle Fiandre occidentali, e di cui lo spettatore viene volutamente tenuto all’oscuro, è significativo riguardo alle vere intenzioni della pellicola), seppur sia evidente la dipendenza del film con almeno un’altra pellicola di genere, sempre ambientata durante la Grande Guerra, quale Orizzonti di gloria del grande Stanley Kubrick, omaggiata e citata in molte occasioni, soprattutto nella prima parte.
Diversamente dalla Secondanda Guerra Mondiale, infatti, con i suoi fronti mobili e il teatro delle operazioni belliche in tutto il mondo, permettendo così al cinema tutto il materiale che le serve per lo spettacolo (oltre a un divisione più netta tra buoni e cattivi maggiormente fruibile per lo spettatore medio), la Grande Guerra pur iniziata come guerra di movimento si trasforma quasi immediatamente in quella che verrà poi definita come “Guerra d’attesa”, dall’incapacita e dall’impotenza dei vari eserciti di superare le barriere difensive costruite dal nemico lungo trincee scavate in un fronte quasi immobile e attraversando un territorio sconvolto da anni di ferocia fino ad allora inaudita, e capace quindi di evocare una dimensione molto più metaforica e/o simbolica piuttosto che spettacolarizzarne gli effetti come il secondo conflitto mondiale.
In poche parole il film presenta una matrice più allegorica/favolistica di quanto invece possa farne credere il rigorismo storico e scenografico, comunque ben presente e ottimamente realizzato, ma che in realtà nelle intenzioni a parer mio viene nettamente in secondo piano.
Aspetti però che finiscono comunque per stridere tra loro (vedi il linguaggio o i dialoghi stessi o i passaggi spazio/temporali piuttosto approssimativi) creando delle incongruenze narrative (ma anche tecniche/fisiologiche) dettate anche dalla scelta di girare il film in un unico falso piano sequenza in una volontà stilistica anche coraggiosa, con l’intento di favorire il coinvolgimento dello spettatore alla vicenda raccontata, ma dall’altro rischiando paradossalmente di “distrarlo” dal contesto stesso della storia.
Come anche la scelta di puntare preferibilmente su certi virtuosismi tecnici e/o stilistici piuttosto che sulla sceneggiatura, che presenta un bignami di tutti i topoi classici del film di guerra facilmente riconoscibili e che servono a creare sì un contesto ma non a elaborarne il contenuto, e che mostra quindi il fianco a diverse debolezze, sia in termini di sviluppo della vicenda, con certe forzature e pretestuose soluzioni che ai più possano apparire soprattutto di comodo, che anche in termini di dialoghi e/o di rappresentazione dei personaggi, come già accennato piuttosto scialbi quando non addirittura incoerenti per l’epoca.
Ma, come già detto, 1917 è un film che gioca su diversi piani, uno storico-realistico - e, ripeto, secondo me di facciata o comunque più secondaria di quanto certa critica vorrebbe far credere - e uno astratto-simbolico, minimale e ossessivo, che è invece il "vero" interesse del regista, ma alla fine è proprio l’incidenza tra questi due elementi il più grosso limite della pellicola.
Lo stesso uso del piano sequenza come strumento di grammatica cinematografica nel privilegiare una propria cifra estetica e per dettarne i ritmi narartivi si configura più come artificio tecnico che non come volontà di adesione alla realtà non tanto per gli eventuali errori tecnici nei momenti di stacco, comunque presenti ma anche inevitabili, ma perchè non corrisponde alla continuità temporale che la stessa pellicola vorrebbe ricreare (il tempo della riproduzione cinematografica e di quanto intende rappresentare semplicemente non coincide proprio per come è realizzata la stessa pellicola, ovvero è lo stesso arteficio del piano sequenza a non renderlo possibile) ed è eleoquente, dal mio punto di vista, del disinteresse di Mendes della storia piuttosto che del come realizzarla.
In fondo già l’inizio in piano sequenza della precedente pellicola di Mendes, ovvero Spectre, mostravano l’intenzione del regista inglese di misurarsi con questa tecnica e che quindi è figlia più della volonta dello stesso che non della effettiva esigenza narrativa del film.
Una esigenza, per me, nopn necessaria e quindi come tale superflua e/o inutile nell’economia del racconto.
Le facce pulite e coraggiose dei due protagonisti vengono affidate ai semisconosciuti George Mackay e Dean-Charles Chapman a cui viene affadata l’immedesimazione dgli spettatori e che si trovano ad incontrare le figure carismatiche di ufficiali (e attori) inglesi in camei abbastanza inutili e in, quanto tali, piuttosto sprecati (se non come nomi da apporre sui manifesti) come Colin Firth, Andrew Scott, Mark Strong, Benedict Cumberbacch e Richard Madden.
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