Regia di Jacques Tourneur vedi scheda film
Quasi un incubo in cui spazio e tempo sembrano collassare e fondersi ed ogni tentativo di fuga dal passato pare riportare il protagonista al punto di partenza
Ecco uno di quei film che costituiscono un riferimento indiscusso del cinema noir, talmente zeppo di spunti di indagine critica da renderne complessa una sintesi che possa essere un minimo esaustiva.
Siamo nel 1945 quando, come riporta l’AFI, la RKO riesce a strappare alla Warner i diritti sul romanzo inedito Build my gallows high di Geoffrey Homes, il quale si occuperà poi anche di sceneggiare il film che ne deriva, Out of the past, con contributi di revisione, non accreditati, di Frank Fenton e James M. Cain. Come è naturale che accada, la Warner rifiuta di prestare alla RKO Humphrey Bogart, contattato dallo stesso Homes per il ruolo da protagonista, fatto che costringe la casa produttrice a “ripiegare” su un giovane Robert Mitchum. Regista designato è Edward Dmytryk, che a causa di una sovrapposizione di impegni viene sostituito con Jacques Tourneur. Questa breve premessa per sottolineare come il successo del film, cresciuto nel tempo, sia legato anche anche ad elementi di pura casualità.
Tourneur, regista dal carattere particolarmente schivo, usciva dalla spettacolare trilogia filmico-produttiva di Van Lewton in cui l’elemento pauroso e il senso di smarrimento per l’ignoto dominavano lo schermo. Era poi seguito un cambio di genere di cui Schiava del male rappresentava il pieno ingresso del regista nel genere Noir, al quale faceva poi seguito Le Catene della Colpa.
Il film altro non è che la storia di un ex-investigatore, Jeff Bailey (Robert Mitchum), un tempo al soldo del malavitoso Nick Sterling (Kirk Douglas), che cerca di rompere con il proprio passato essendosi rifugiato, secondo uno schema di lunga tradizione noir, nella piccola e anonima cittadina di Bridgeport, come gestore di una pompa di gas, aiutato da un fedele ragazzo sordomuto di nome Jimmy (Dickie Moore). I guai iniziano, o sarebbe meglio dire ricominciano, quando Jeff, immerso in un ambiente idilliaco nei pressi di un lago del Connecticut, amoreggiando con la bella e docile Ann (Virginia Huston), viene richiamato da Jimmy che lo avverte a gesti che qualcuno lo sta cercando. In città si è presentato infatti inaspettatamente Joe Stephanos (Paul Valentine), truce sicario di Nick, con l’intenzione di informare Jeff che il vecchio boss, che non dimentica nulla, vuole incontrarlo. Jeff acconsente per obbligo morale e, dirigendosi da Nick, in un viaggio notturno in auto verso il Tahoe, decide di raccontare ad Ann la sua storia.
Parte così un lungo flashback che dura ben 40 minuti, in cui la narrazione, in pieno stile hard boiled, procede con la voce fuori campo del protagonista che, spinto dalla situazione critica e di pericolo in cui si ritrova, è costretto a svelare il proprio passato burrascoso. Questo trucco diegetico, mirato ad accrescere in qualche modo il coinvolgimento destabilizzante e il parteggiamento dello spettatore per il punto di vista dell’ex-investigatore, è anche ciò che consente, con uno stacco di genere narrativo, che la prima parte del film si sviluppi quale vero e proprio melodramma criminale. Jeff racconta infatti dell’incarico ricevuto tempo prima dal boss Nick per ritrovare Kathie Moffat (Jane Greer), che lo ha gambizzato con 4 colpi di pistola, fuggendo verso il Messico dopo avere trafugato 40mila dollari. L’investigatore accetta l’incarico e, scovando dopo varie ricerche la donna ad Acapulco, se ne invaghisce, aspettandola a vuoto per una serata intera in un bar, pur di poterla conoscere a fondo, riuscendo poi con una assidua e palpitante frequentazione a conquistarla.
La Greer non interpreta una tipica femme fatale, quanto piuttosto una donna distruttiva, astuta nell’azione, cupa, sfuggente, notturna, conscia del male che porta dentro di sé; l’espressività del suo viso mescola in maniera difficilmente resistibile sensualità e tendenza al tradimento. Il suo fascino è sottolineato dal fatto che il malavitoso, nonostante sia stato ferito quasi a morte, cerchi la donna non per riappropriarsi dei soldi o per vendetta, ma per riaverla vicino a sé. Ed in tutto il film viene da chiedersi cosa Kathie sia realmente in grado di provare per Jeff e se l'affetto che desidera ricevere sia sola e semplice necessità utilitaristica.
I due amanti si trasferiscono insieme a San Francisco fino a quando vengono scoperti e ricattati da Jack Fisher (Manlio Busoni), ex collega di Jeff. Qui Kathie rivela la sua vera indole assassina, uccidendo Jack, e di ladra mendace, quando Jeff scopre che ha effettivamente compiuto il furto fino ad allora negato, fatto quest’ultimo che provoca la rottura della coppia.
Non ti ho mai detto di essere diversa da quello che sono, sei tu che volevi crederlo.
E’ a questo punto che la narrazione ritorna al presente, convergendo su una sorta di detective story decisamente labirintica. Jeff salutata Ann, si dirige a casa di Nick che trova a sorpresa in compagnia di Kathie, la quale gli confessa di seguito in privato di aver scaricato su di lui le colpe del proprio omicidio. L’ex detective, dovendo sdebitarsi con Nick per avergli a suo tempo rubato la donna (la colpa sembra essere più questa che il suo passato turbolento), accetta di essere ingaggiato per recuperare dei documenti contabili con i quali l’avvocato Leonard Eels (Ken Niles) ricatta il malavitoso per frode fiscale. Jeff, pur sospettando che gli sia stata tesa una trappola, va comunque ad incontrarlo con la complicità della segretaria dell'uomo, Meta Carson (Rhonda Fleming). Purtroppo poco dopo l’incontro, in cui Jeff dissemina le proprie impronte ovunque, l'avvocato viene ucciso da Joe, il quale fa in modo che la colpa ricada sull’investigatore.
Riuscito a recuperare in maniera scaltra i documenti contabili, Jeff torna a Bridgeport ma è inseguito, su istigazione della sua ex amante, da Joe, il quale muore cadendo da una rupe in un fiume grazie ad un intervento salvifico del ragazzo sordomuto. Sembra a quel punto che sia possibile un accordo tra il detective e Nick e che il primo possa finalmente tornare dalla sua amata Ann, spedendo Kathie in galera, ma la situazione precipita drammaticamente quando Kathie uccide il malavitoso (ma non assistiamo all'omicidio), costringendo Jeff a fuggire con lei.
Piuttosto complessa e densa la trama della seconda parte del film, con un incedere narrativo a tratti incerto. La notte dell’omicidio del contabile Eels appare quasi interminabile, con le donne che agiscono in maniera furba e spietata e Jeff che si sposta in taxi da una casa all’altra alla ricerca dei documenti, manca i pedinamenti e ricicla su un affastellato peregrinaggio alle cui mete pare arrivare spesso in ritardo (anche Too Late deve molto a questo film). Ogni tentativo di depistaggio sembra vano e la sensazione è che l’investigatore non riesca mai a risolvere completamente la situazione a suo favore, incappando ad ogni passo in un ulteriore ostacolo.
Qualche critico ha affermato che Ann e Kathie rappresenterebbero l’incarnazione del bene e del male, tra i quali si dibatterebbe il povero Jeff. A ben guardare il cinismo della segretaria di Eels dimostra come la categoria dominante nel film sia quella di donne spietate, al cui cospetto Ann pare una figura del tutto irrilevante. Queste donne sono assolutamente incuranti della morte altrui e fa specie notare come perfino il sicario Joe mostri nel suo racconto una sorta di senso di pietà per gli ultimi timorosi momenti di vita dell’avvocato da lui appena ucciso; di contro la segretaria Meta, pur consapevole dell’affetto provato per lei dal datore di lavoro, oltre ad aver assunto atteggiamenti seduttivi verso il detective, non si è fatta alcuno scrupolo a collaborare indirettamente all’eliminazione fisica del suo titolare.
Jeff pare muoversi sempre in maniera un po’ passiva e priva di energia, tra rimpianto e disincanto, ma questo comportamento è da un lato dovuto alla consapevolezza di un destino già segnato da cui sembra impossibile sfuggire, dall’altro è la conseguenza di un atteggiamento riflessivo, necessario per comprendere sia il carattere delle persone incontrate, sia per valutare con attenzione quale sia il modo migliore per uscir fuori dalle situazioni via via più intricate che si ritrova ad affrontare. Tourneur racconta in un’intervista che per educare i propri attori ad una recitazione più affine al suo gusto, adottava durante le prove solo fonti di luce naturale, costringendo gli stessi ad avvicinarsi a lampade o finestre per leggere il copione, abbassando il tono della voce e dunque abituandosi ad una recitazione più misurata.
Kirk Douglas svolge con sagacia il ruolo di gangster, la cui crudeltà sembra però percepibile più dai comportamenti violenti dei suoi scagnozzi e dalle fobie di Kathie che dai suoi modi benevoli e dalle sue parole di apparente superiorità rispetto ai torti subiti. Solo nella scena finale, in cui comprende in pieno i misfatti di Kathie, il suo atteggiamento clemente si trasforma in un proferire furente di minacce sadiche verso la donna che per il terrore si tocca il viso con le dita, quasi a volersi proteggere.
In tutto il film Tourneur evidenzia il contrasto tra le serene atmosfere della bellissima ambientazione naturale, restituite dalla superba fotografia di Nicholas Musuraca ed il mondo oscuro e ambiguo della città. Eppure il legame simbiotico e per certi versi quasi sinistro tra il ragazzo sordomuto e l’ex detective fa emergere aspetti violenti anche nei luoghi rurali, quando il giovane aggancia con l’amo di una canna da pesca il sicario Joe, in una scena quasi surreale, facendogli perdere mira ed equilibrio. Il ragazzo ha un ruolo chiave anche nell’epilogo poco consolatorio del film; sembra quasi reciti un testamento dettato da Jeff quando lascia credere ad Ann che la volontà del detective fosse di fuggire con l’altra donna, aspetto che rimarca l’ultimo degli inganni (ma questa volta a fin di bene) in cui è dolorosamente coinvolto il protagonista.
Si fuma in maniera esagerata e continuativa durante il film, forse le sigarette di Holappa in Foglie al vento sono un omaggio a quest’opera, dove il fumo sembra essere una costante della messa in scena.
Le composizioni visive di Tourneur sono molto interessanti e paiono per certi versi assimilabili ad una idea pittorico-fotografica: simmetrie, contrasti scenografici tra gli sfondi naturalistici e l’opera costruttiva dell’uomo, distanze tra gli attori in ambienti spesso ampi, come il soggiorno della casa di Jim, dominato dalle sue enormi vetrate, quasi un acquario a metaforizzare i due pesci in trappola. O ancora come la casa di Kathie ad Acapulco, in cui Tourneur adotta una soluzione filmica pazzesca, scaricando totalmente sull’immaginario dello spettatore l’azione tra i due amanti che l’autocensura dell’epoca aveva impedito potesse essere minimamente rappresentata. Kathie porta infatti Jeff per la prima volta nella propria abitazione (piena di "mobili di bambù e soprammobili messicani") per ripararsi da una pioggia torrenziale: lui le asciuga i capelli nonostante lei sia riottosa, la bacia sul collo, poi scaraventa via l’asciugamano che finisce su un lume che cascando per terra si spegne, mentre il vento apre le porte dell’ampia dimora. La mdp segue il vento e riprende il giardino con le piante grasse che danno l’idea dell’ambientazione tropicale. Pochi secondi dopo nuovo cambio scena, la mdp ritorna nella stanza riprendendo Jeff che chiude le porte e come se nulla fosse successo (ma è accaduto nella nostra testa) i due si concentrano sulla fuga verso San Francisco. Semplicemente geniale, quasi un emblema del noir seduttivo e maledetto.
Cinema della "fluttuazione", quasi un incubo in cui spazio e tempo sembrano collassare e fondersi ed in cui ogni tentativo di fuga dal passato pare riportare il protagonista al punto di partenza. Trasborda per l'intero film una sensualità malsana e devastante che ne rappresenta anche uno dei suoi indiscussi pregi.
Colonna sonora di rilievo, curata da Roy Webb, che aveva lavorato con Hitchcock su Notorious l'anno precedente.
Il film, per il suo valore, è stato aggiunto dal National Film Preservation Board nel National Film Registry nel 1991. Da vedere e rivedere, meglio se nell'edizione in HD che restituisce correttamente tutta la bellezza e la sorpendente estetica del film.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta