Regia di Bertrand Bonello vedi scheda film
Dal Wes Craven del Serpente e l'arcobaleno al Barone Samedi di 007 - Live and Let Die, Zombi Child non nasconde mai la sua vena citazionistica. Eppure, come capita ad ogni nuovo film di Bertrand Bonello, è davvero impossibile prevedere cosa possa attenderci. E quindi rieccoci stupiti di fronte al suo nuovo film, un horror sui generis che, se si fa eccezione per alcuni deragliamenti umoristici, dimostra un esemplare rigore di ritmo e di messa in scena che ci si poteva comunque aspettare dal regista di Nocturama. Mai sterile esercizio di stile, piuttosto grande caleidoscopio ipnotico se non mesmerizzante, Zombi Child alterna due momenti narrativi ben distinti, l'Haiti del 1962 in cui un uomo di colore si ritrova a vagare come uno zombi e a lavorare come uno schiavo, e la Francia contemporanea in cui una ragazza in un collegio femminile un po' à la Dario Argento affronta le conseguenze di un cuore spezzato. Il lento avvicinarsi del voodoo e dei misteri esotici alla vita della giovane protagonista tramite una sua amica permetterà al film di diventare gradualmente una pellicola rituale, un lavoro di trance che opera tramite le attese e i silenziosi raffinatissimi dolly, conferendo all'horror un tocco erotico non trascurabile. La crescente atmosfera da incubo, data dalla sempre magistrale capacità di Bertand Bonello di stilizzare gli ambienti, in questo caso con ricorrenti carrellate laterali che svelano climi e ambientazioni, si traduce in un montaggio sempre più allucinato, secco e brutale, con campi-controcampi che contrappuntano la cadenza delle scene e transizioni improvvise sempre pregnanti, un po' a illustrare la connessione continua fra passato e presente, un po' a compendiare le forme in cui l'invisibile - della psiche, della memoria, della Storia - arriva ad inquinare il visibile - il razionale. Come capita spesso in Bonello, il montaggio diventa una forma di chiaroscuro, da sequenze buie - la maggior parte di quelle haitiane - a sequenze illuminatissime - le lezioni del collegio - e negli ultimi indimenticabili dieci minuti risulta anche una tecnica per indurre nello spettatore la trance che intanto aggredisce e impossessa alcuni dei personaggi principali. Spaventi e situazioni sopra le righe si mischiano senza mai scivolare in un grottesco involontario, e le immagini cominciano a rivelare sempre di più la loro duplice ambigua natura, quella apotropaica e quella demoniaca. Per fortuna, Bonello ci insegna, il Cinema rimane entrambe le cose.
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