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Vivarium

Regia di Lorcan Finnegan vedi scheda film

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La recensione su Vivarium

di Furetto60
7 stelle

Film spiazzante e insolito, tra horror e sci-fi "disturbante" e "inquietante"

Gemma, maestra d’infanzia  e Tom  giardiniere, sono una giovane coppia in cerca del loro nido d’amore, ovverossia una casa in cui mettere su famiglia; visitano un’agenzia immobiliare che vende villette, in un complesso di recente costruzione, chiamato Yonder. Il bizzarro commesso, Martin che sembra appena uscito da una fabbrica di robot tipo “Tecnocasa” propone loro di recarsi subito sul posto, i due accettano e lo seguono con l’auto. Quando entrano nel quartiere, senza minimamente sospettarlo, stanno scivolando irrimediabilmente in un girone dell’inferno e noi con loro. All’improvviso sembra di trovarsi nella gotica Florida “color pastello” di Burton, ma con le case molto più opache e moltiplicate all’infinito. Un labirinto di case, tutte eguali, in un’unica tonalità verde tenue, all’interno di cui non circola anima viva, né persone né animali ,dove il cielo azzurro è statico e pare fatto di cartapesta, come le sue nuvole tutte uguali come disegnate, senza vento, un quartiere di villette a schiera, con prati all’inglese e giardinetti sul retro, sprofondato in un silenzio innaturale; Gemma e Tom vengono accompagnati da Martin al civico 9, una casetta  arredata di tutto punto, con stanze già preparate per accogliere un futuro bambino, pronta per essere abitata, con fragole e champagne a disposizione, per l’accoglienza dei nuovi ospiti. Nel bel mezzo di una visita, che si fa ogni secondo più imbarazzante, l’agente immobiliare sparisce, i due ragazzi a questo punto, risalgono in macchina per andarsene, ma qualunque strada imbocchino, si ritrovano sempre al punto di partenza, come in un gioco dell’oca stregato, girano a vuoto tante volte, fino a che la benzina finisce, decidono di dormire lì e affrontare col giorno la situazione.La mattina dopo provano ad uscire da quel labirinto, anche a piedi, tagliando per i giardini delle altre abitazioni, tutte rigorosamente vuote o seguendo i vari sentieri,  si ritrovano sempre allo stesso punto, davanti alla villetta numero 9. Tom sale sul tetto per avere una visuale più ampia e provare ad individuare una via d’uscita e scopre che intorno a loro non c’è altro che villette, uguali fino all’orizzonte. Si vedono con delle suggestive riprese dall'alto, le geometrie simmetriche e i colori menta verde, una versione in formato gigante del modellino esposto nell'agenzia: da Yonder non è possibile uscire, quella sarà la loro casa, per sempre. In questo incubo kafchiano, sembra tutto artificiale: il silenzio irreale, il cielo immobile e innaturale.  Dopo un paio di giorni mentre monta l’orrore, dentro a una scatola consegnata davanti all’uscio nottetempo da ignoti, Gemma e Tom trovano un neonato e una scatola con dei viveri, con un biglietto che li invita ad accudire il bambino, per ottenere la libertà. Tra lo sgomento e l’incredulità la coppia non sembra avere scelta. Escogitano di tutto per scoprire chi e perchè, li ha intrappolati lì, Tom brucia perfino la casa per attirare l’attenzione, ma il giorno dopo al risveglio, la ritrova ricostruita e intatta. Il cibo che viene fatto trovare davanti alla casa, non si sa e non si saprà da chi, non ha sapore né odore, sembra di plastica, come quel luogo maledetto. Il regista Finnegan si supera nel costruire questo ambiente artefatto, addobbando perfino le pareti della villetta con quadri che sono, raffigurazioni della casa stessa. Pure imitazioni di qualcosa di già visto. La disperazione si insinua strisciando, dall’iniziale incredulità si passa allo sconforto, alla rabbia, infine a una rassegnazione desolata, per cui ogni gesto diventa un automatismo privo di spinta vitale.

Non appena entriamo nel labirintico e asettico sobborgo, come molti utenti scrivono, la mente va a “The Truman Show” con questa “esistenza sotto vetro” costantemente monitorata da un’entità, con finalità misteriose. La villetta al n. 9, in cui i due sono costretti ad abitare, appare come un laboratorio, dove loro sono le cavie, in una realtà che sfida ogni razionalità, in cui le leggi della fisica e persino della biologia sono sospese. Il bambino che forzatamente si trovano a crescere è molto strano, come potrebbe non esserlo! Anche lui sembra finto, cresce a velocità sbalorditiva e poi imita i genitori, convulsamente, quando viene contrariato urla forsennatamente e istericamente, insomma è odioso e sembra prosciugare le energie vitali dei due giovani. Tom vorrebbe, a un certo punto, ucciderlo ma l’istinto materno di Gemma, prevale su quello omicida del compagno, cosi il bambino accudito da loro, diventa prestissimo adulto e appare consapevole di chi sta dietro questo “esperimento”, ma si guarda bene dal rivelarlo, è sempre più distante e più cinico, si rivolge a Gemma apostrofandola:” Madre tu sei qui per crescere un figlio e poi devi morire”. Seminando il film di allegorie, Finnegan gioca abilmente con l’irrazionale, con questa esperienza surreale, di vita accelerata, incubo domestico in cui l’identità del ‘burattinaio’ è irrilevante ai fini del senso della storia, che si sviluppa in una dimensione “altra,” in uno schema che ricorda molto gli episodi di “Ai Confini della Realtà,”  Se Gemma sembra a un certo punto rassegnarsi alla frustrante e disperata situazione, fino a lasciarsi coinvolgere nel ruolo di madre putativa di questo sfiancante ragazzo, che mette costantemente alla prova la sua pazienza, Tom invece sceglie di ‘scappare via’, comincia a scavare una buca, cercando il senso di quella situazione, non lo sa ancora ma quella sarà la sua fossa. Tuttavia questo impegno di fatto inutile però gli dà una speranza, lo fa sentire vivo e attivo, non attore passivo di una vita che non ha voluto, il regista  Finnegan sprofonda il suo film in territori fantasmagorici, per scrivere una crudele, e tuttavia molto attuale, favola dark che non si limita a sottolineare il vuoto delle nostre aspirazioni materiali, ma che, soprattutto, ci mette di fronte all’inutilità delle nostre vite, anche rispetto a ciò che per molti dovrebbe avere più significato di tutto: diventare genitori. La sequenza che fa da sfondo ai titoli di testa di Vivarium è eloquente: un cuculo scaccia due uccellini dal loro nido per appropriarsene, e inizia a reclamare a gran voce il cibo dalla madre surrogato, che si vede costretta a sfamarlo affinché smetta di strillare. Queste villette a schiera sono degli spazi appositi, in cui generare e allevare in maniera del tutto meccanica e forzata delle creature,anche se non sono dei figli biologici, senza potersi chiedere perché. Il film è “disturbante” e “inquietante” e trasmette un senso di profonda angoscia.Puramente horror nel senso più cupo possibile.

 

 

 

 

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