Regia di Lorcan Finnegan vedi scheda film
Distopico, si dice di questi film. Ove per distopia si intende creazioni di mondi alternativi negativi, opprimenti e pericolose. Forse per mettere in guardia lo spettatore che, si, può affrontare l’ignoto ma che, suo malgrado, ricerca comunque reazioni che richiamino ad una parvenza di logicità.
Vivarium mette l’Uomo alla prova. Lo estirpa dal suo nido - come prologo e incipit tentano di annunciare - e lo lascia alla mercé dell’inaudito e dell’incredibile fino ad provocarne reazioni spesso sconnesse, altre volte stravaganti, altre ancora eccessivamente depresse o rassegnate.
La coppia protagonista viene accompagnata in uno di questi complessi urbanistici villette a schiera ciclostilate, e abbandonati mentre visitano la casa. Ovviamente, tentando il ritorno, si perderanno per gli intricati viali del quartiere, tutti infallibilmente identici e si troveranno a soggiornare nella teorica loro casa, già arredata anche di vitto e abbigliamento.
Forse non tutti, ma gran parte di noi, cercherebbero di trovare l’uscita del labirinto. Ma il film abbiamo detto che è distopico, quindi accettiamo la nuova collocazione abbastanza di buon grado. Di più. Accettiamo che ci lascino un bimbo fuori della porta, lo accudiamo, lo vestiamo con vestiti procurati (distopicamente) e proseguiamo un’esistenza assurda senza nessun altro di contorno. Anzi no, scaviamo una buca infinita in giardino, magari passa la metro sotto casa…
Ovviamente ci sono gli alieni di mezzo, che stanno studiando i nostri comportamenti in condizioni al limite. Chissà dove vogliono arrivare.. nei loro - di film distopici - c’è sempre qualche umano che alla fine li fa fuori (magari hanno visto Alien), e allora vogliono vedere l’effetto su di noi. Peccato che la nostra mamma improvvisata (“Non sono tua madre!” il mantra più gettonato) non sia Ripley.. che in una settimana avrebbe smontato tutte le casette rimettendole nella scatole de “Il piccolo sobborgo” rispedendole all’alien di turno.
Quindi accontentiamoci di una melliflua e disarmante resa all’ineluttabile senza via d’uscita che l’esalazione dell’ultimo, distopico, respiro.
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