Regia di Lorcan Finnegan vedi scheda film
Simple Game ("I... said... i'm... not... your... fucking... mother!").
Il (grande ed invalicabile) limite di “Vivarium”, l’opera seconda (dopo tre interessanti corti - "Defaces", "Changes" e "Foxes", con quest'ultimo che in larga parte sta alla base del film in questione, qui su You Tube e Vimeo - e il lungo “WithOut Name”) dell’irlandese Lorcan Finnegan, sceneggiata da Garret Shanley su un soggetto suo e del regista, è quello di essere né più e né meno l’estensione del proprio prologo sulla distanza dell’ora e mezza, con l’inserimento di una sola (accento acuto), se pur non indifferente, variabile caratteristica: quella umana. Vale a dire, principalmente, la consapevolezza. Ovvero, da una parte, la coppia ospite di pettirossi, codirossi, cannaiole, cannareccioni o capinere parassitata ognuna dalla propria generazione di cuculiformi cuculidi...
{ogni femmina del Cuculus canorus - che delle due specie, appartenenti a due generi differenti, presenti in Europa è la più comune - è specializzata, come quasi tutte quelle della famiglia e ordine che si trovano ad essere parassite obbligate di cova, circa poco più di un terzo del totale: depone le uova - che imitano quelle della specie parassitata [che in "Vivarium" sembrerebbe essere il Panuro di Webb, fatto strano perché si tratta di un alloctono aufugo naturalizzato di Lombardia e Canton Ticino che non dovrebbe essere ancora presente e stanziato nei luoghi delle riprese, ovvero l'Irlanda per gl'interni ed il Belgio per gli esterni (cosicché, transitando dalla soglia di casa per uscire in cortile o andare in strada, e viceversa, si passa, attraversando La Manica e il Mare d'Irlanda, dall'Europa/Benelux all'Arcipelago Britannico/Éire, e viceversa): si potrebbe trattare d'immagini di repertorio acquistate all'uopo ed editate per l'occasione] - nei nidi della specie di passeriforme in cui è nata e da cui è stata allevata}
...non può certo essere lasciata libera di tentare una nidiata propria la stagione successiva e al contempo di andare in giro a cantare la propria storia di prigionia… Siamo umani (beh, ancora: chi più chi meno), suvvia! E, dall’altra, l’impossibilità di limitarsi alla sola infiltrazione e sostituzione, col conseguente obbligo a dover costruire un proprio nido artificiale a imitazione di quello reale avito o ambito d-e/a-gli occupanti in cattività forzata ove invitare e rinchiudere la coppia, che da ospite inconsapevole diviene ospite ospitata cosciente di esserlo. Inoltre, organizza ed esprime alcune leggi fisiche e biologiche mettendone in campo gli effetti senza ovviamente volerne/poterne spiegare le cause (si consideri a tal proposito “Us”). Ad esempio, per ciò che riguarda lo sfasamento temporale tra genitori e figlio, più che tra vivaio/serra e campo aperto/mondo libero, che non è tale ma è da imputarsi piuttosto al più alto metabolismo e alla veloce capacità di crescita della specie parassita.
Insomma, eccoci in una versione allucinata/allucinogena dei documentari Discovery/BBC/Netflix di Alastair Fothergill (the Blue Planet, Deep Blue, Planet Earth, Frozen Planet. Our Planet), narrato però da una via di mezzo fra Christopher Lee/Vincent Price e un Werner Herzog che ha appena ammazzato Klaus Kinski o viceversa e girato all'interno di un set/diorama (formicaio/alverare & terrario/acquario) costruito all'uopo, che racconta e descrive la storia di questo topos/must della Sf, lo "ZooAlieno", in cui ad essere rinchiusi nelle gabbie non sono gli animali, ma le specie senzienti dell'universo, tra cui quella umana [due esempi tra i tanti, il mit(opoiet)ico "the Cage", ovvero il pilot/n.0 di "Star Trek" (mai regolarmente trasmesso, e che sarà poi fagocitato per intero in un doppio ep. della 1a stag., con una minima e sostanziale variazione sul finale, "the Menagerie"), e il 17° ep. della 7a stag. di "Futurama": "Fry and Leela's Big Fling"], qui in un'ambientazione limitata al pianeta Terra (con incursione nel multiverso) e ad una xeno-antropomorfa non-aliena specie mimetica anuro-umanoide andro-partenogenica che sopravvive cleptoparassitando Homo s. sapiens. Un episodio di the Twilight Zone / Amazing Stories dilatato sui 90', con un pensiero al "the Midwich Cuckoos" di John Wyndham (e Wolf Rilla, John Carpenter, etc...).
E poi, Imogen Poots ("Centurion", "Jane Eyre", "She's Funny That Way", "Knight of Cups", "Green Room"), ovvero ciò che fa protendere il film al 7 piuttosto che al 6. Ottima prova anche per Jesse Eisenberg (entrambi di nuovo insieme nel recente "the Art of Self-Defense"). Mentre completano il cast le prestazioni di Jonathan Aris (Martin “x+1”), Senan Jennings (Martin “x+2.1”) ed Eanna Hardwicke (Martin “x+2.2”).
Fotografia: MacGregor (spagnolo da tenere d’occhio: “the Mauritania RailWay: BackBone of the Sahara”). Montaggio: Tony Cranstoun. Scenografie: Philip Murphy ("Ceci n'est pas un Magritte!"). Musiche: Kristian Eidnes Andersen (compositrice e/o sound designer per “AntiChrist”, “SubMarino”, “Melancholia”, “Jogten”,“Nymph(o)Maniac”, “Only God Forgives”, “SameBlod/Sami Blood/Sangue Sami” e “the House that Jack Built”). In incipit Dandy Livingstone consiglia per interposta persona ("Rudy, A Message To You") la coppia ("Stop your running about / It’s time you straightened right out / Stop your running around / Making trouble in the town, ah-ah-ah!"), che canticchia ma non ascolta il messaggio (che da politico/razziale si fa eminentemente pratico). In coda gli XTC di Andy Partridge, Colin Moulding e soci con “Complicated Game” sono, tutto sommato (problemi esistenziali e non precipuo-peculiarmente horror tra fantasy e fantascienza), una boccata d’aria fresca.
"I... said... i'm... not... your... fucking... mother!"
* * * ¼ (½) - 6.625
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