Regia di Rose Glass vedi scheda film
Dopo gli ultimi acclamati e assolutamente riusciti esperimenti horror degli ultimi tempi, il cinema di genere pare stia risorgendo, ricco di nuove idee, un’estetica innovativa, e una determinante presenza femminile tra cast e team tecnico. Saint Maud è un’ennesima conferma.
Opera prima della regista emergente Rose Glass, Saint Maud presenta un ritratto nudo e crudo della malattia mentale, incarnatasi e fattasi horror.
Cosa vede una persona affetta da schizofrenia, cosa la conduce a compiere gesti incomprensibili ed esasperati, e quale è stato il trigger che ha fatto scattare la discesa verso l’oblio?
Una domanda univoca non si può trovare, e questo film vuole solo essere una delle mille possibili trasposizioni di una condizione di malessere psichico: il trauma, la solitudine, il fervore religioso, le allucinazioni, gli atti estremi.
Lugubre, sporco e desolato, non c’è via di scampo per Maud (?), tormentata da un tragico fatto del passato, fonte di instabilità emotiva. L’incontro con Amanda suggella, definitivamente, la totale perdita di controllo da parte della ragazza.
Horror, in questo caso, è anche il contesto: la lugubre cittadina costiera di Scarborough, nella costa Est dell’Inghilterra e affacciata sul Mar del Nord, rimanda ad atmosfere lovecraftiane. Le scene di “possessione” (o meglio, autosuggestione) fanno riferimento ai grandi classici dell’orrore.
Esteticamente moderno, il film presenta un dosatissimo uso della cgi, appena sufficiente per deformare volti ed espressioni, ma non troppo per sembrare finto e kitsch, si ferma un attimo prima di palesarsi come effetto digitale (sublime come viene utilizzato per contorcere il volto di Maud, nei momenti di spasmi estatici).
Il cast, prettamente femminile, inscena perfettamente il malessere, sia esso mentale (Morfydd Clark) oppure fisico (Jennifer Ehle); la colonna sonora, composta da Adam Janota Bzowski, sottolinea e amplifica immensamente la sensazione di disagio che permea l’intero film. Il finale sublime (e sublima) una conclusione catartica ed inevitabile.
Saint Maud è un piccolo gioiello, anche se non perfetto: alcuni momenti perdono di ritmo e risultano leggermente diluiti; la scelta di cadere, verso il finale, in una banale possessione demoniaca (a mio parere) sarebbe potuta essere trattata in maniera più coraggiosa e coerente col resto del film.
Dopo gli ultimi acclamati e assolutamente riusciti esperimenti horror degli ultimi tempi (Hereditary e Midsommar, The VVitch, ma anche un meno notato Starry Eyes e il tutto italiano Il Legame), il cinema di genere pare stia risorgendo, ricco di nuove idee, un’estetica innovativa, e una determinante presenza femminile tra cast e team tecnico. Saint Maud è un’ennesima conferma.
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