Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
Matteo Garrone ci consegna un Pinocchio che lascia sostanzialmente indifferenti: una versione nè brutta nè sbagliata, che però finisce per essere una lezione studiata bene e ripetuta con cognizione ma anche un po’ di noia, fino allo sbrigativo finale.
A voler pensare male la scelta di Matteo Garrone di portare un’altra volta Pinocchio sullo schermo potrebbe sembrare puramente commerciale: a metà dicembre nei cinema Pinocchio può rubare la scena anche a Babbo Natale. Ma Garrone è regista troppo ambizioso per limitarsi ai dettami del botteghino e sceglie così di misurarsi con un testo che non è soltanto una portentosa favola per i più piccoli ma, soprattutto, un classico tra i classici, un libro che contiene un intero universo.
Riuscire a dominarlo, questo universo, non è certo impresa facile e la regia, fin dalle prime immagini, sembra piegarsi alla storia senza provare a prendere strade alternative. Roberto Benigni (che nel 2002 si era sua volta misurato – con scarsi risultati – con il libro di Carlo Collodi) è il personaggio di Geppetto che ci si aspetta e che tanto ricorda quello di Nino Manfredi nel Pinocchio che Luigi Comencini girò per la televisione nel 1972; le atmosfere stesse del film sono debitrici a quella vecchia versione e anche al cinema neorealista in generale.
Tra gli altri attori nel film, tutti più o meno trasfigurati nel loro personaggio, Gigi Proietti è Mangiafuoco, Rocco Papaleo è il Gatto e al suo fiancoun caricaturale ma più convincente di tutti Massimo Ceccherini nei panni della Volpe.
Il Pinocchio di Matteo Garrone, vuoi per la storia, che tanto ci appartiene, vuoi per l’ambientazione nelle nostre campagne pugliesi (si riconosce il ponte di Gravina), è infatti un film fortemente italiano, ma che al contempo strizza l’occhio alle grandi produzioni americane, finendo per essere un ibrido tra realismo e fantasy senza una personalità tutta sua.
Le scene più riuscite (su tutte quella della impiccagione di Pinocchio) sono quelle che rimandano all’immaginario di Tim Burton e, più in generale, quelle in cui la forza evocativa delle immagini è in gran parte frutto della tecnologia di cui oggi si dispone.
Matteo Garrone ci consegna un film che lascia sostanzialmente indifferenti: per tutta la sua durata non c’è un momento davvero intenso, non una emozione forte: non fa versare una lacrima nè tantomeno riesce a far ridere (ad esempio con il personaggio di Lumaca). Un film fedele al testo che certamente non si può definire brutto o sbagliato ma che cerca - come il suo protagonista – la sua vera anima senza riuscire mai a trovarla.
Questo Pinocchio parte insomma già un po’ stanco di rivivere per l’ennesima volta le sua avventure e non si dimostra in grado di reggere tutto il peso del suo ingombrante passato(dalla già citata versione televisiva di Comencini a quella cartoon della Disney fino a quella teatrale di Carmelo Bene). Quest’ultima versione non ha nulla da aggiungere ai caratteri delle precedenti e finisce per essere una lezione studiata bene e ripetuta con cognizione ma anche un po’ di noia, fino allo sbrigativo finale.
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