Regia di Gianni Amelio vedi scheda film
Già la casa produttrice, facente capo ad Agostino Saccà, doveva farmi intuire il vero intento del film: un omaggio a Bettino Craxi, leader-martire che vediamo nel suo tragico declino nella città del titolo.
Dopo un'apertura, ambientata in uno degli ultimi congressi socialisti, sempre sfarzosi, dove Bettino riceve una plebiscitaria conferma alla guida del partito, insieme ad un'ammonizione da parte di uno dei suoi funzionari, riguardo ai rischi che andava correndo questa sua conduzione del partito, la vicenda si sposta in Tunisia, dopo che il terremoto di Tangentopoli ha spazzato via il leader ed i principali partiti della Prima Repubblica. Come il regista, e lo stesso Favino, hanno più volte dichiarato, in tutto il film non vi è traccia del pensiero politico di Craxi, a parte una velatissima citazione della crisi di Sigonella (attraverso il gioco ai soldatini del nipotino) ed una visita di un vecchio democrisitano (che può assomigliare a Cossiga che effettivamente andò a trovare Craxi in Tunisia ma che ama il gioco dei cavalli come Andreotti e parla in napoletano come Cirino Pomicino) con il quale si parla del "magna magna" della politica, ma senza nemmeno troppo condannarlo: ancora una volta si fa appello ai soldi che venivano messi a disposizione del partito. La personalità di Craxi emerge nella splendida interpretazione di Favino, come l'uomo burbero, arrogante, ferito dalla perdita di potere, e che si confida l'enigmatica figura del figlio proprio di quel funzionario che lo avvertì qualche anno prima, sino ad arrivare a confidargli una verità "inconfessabile" tanto che nemmeno al pubblico è data a sapere. Vedremo chiudersi il film in modo onirico, con Craxi che si vede ormai umiliato in un teatro, in uno spettacolo a cui assiste l'anziano padre.
Come avvenuto negli ultimi anni, prima con il cupo (ed affascinante) Il Divo (2008) su Andreotti e poi con il meno riuscito Loro (2018) su Berlusconi di Sorrentino, senz'altro si riconferma la difficoltà a ricostruire personalità complesse di politici di lungo corso, difatti si cerca di prenderne in analisi un periodo ristretto della loro esistenza. Tuttavia in questo caso l'intenzione del regista, accompagnata dai commenti riabilitativi di mezza stampa italiana, non rende giustizia ad un personaggio e ad un passaggio storico che, con molte storture, ha comunque rivelato un sistema di finanziamento illecito dei partiti, dal quale i leaders non potevano sentirsi esonerati. L'incontro con l'anziano democristiano sposa invece la tesi del "mal comune mezzo gaudio", dato che tutti i partiti facevano così allora è il caso di metterci una pietra sopra, sebbene, ammette, un po' di soldi "ci rimanevano attaccati alle mani". Questo tentativo di assolvere il leader socialista, accompagnato a tristi scene di declino fisico (nonchè di notorietà ed attenzione da parte della stampa) non credo abbiano reso giustizia alla figura di Craxi. Ancor peggio se l'intenzione era quella di ricostruire un certo periodo storico.
Se Favino, non si può che elogiare per la riuscitissima interpretazione, fatta di pause, inflessioni, posture identiche a quelle di Craxi, dall'altra la messinscena nel complesso non appassiona minimamente. Girata anche in modo un po' grossolano l'ultima parte (dalle terrazze del Duomo si vedono le recenti costruzioni ci CityLife).
Ammetto che il mio giudizio è influenzato da quello sulla persona e soprattutto sul politico, tuttavia citando un celebre dialogo proprio de Il Divo bisogna ammettere che allora "la situazione...era un po' più complessa".
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