Regia di Gianni Amelio vedi scheda film
Probabilmente resterà un'opera minore nel percorso artistico di Gianni Amelio questo "Hammamet", film che tenta di raccontare gli ultimi anni del leader socialista Bettino Craxi, passati in Tunisia dopo essere stato condannato per due volte in Italia per corruzione e finanziamento illecito dei partiti. Amelio sceglie una strada diversa dal film biografico alla Sorrentino di personaggi politici che è il referente più vicino dell'opera, poiché mischia volutamente ricostruzione storica attendibile nei dialoghi e nei luoghi dell'azione (tanto da poter girare perfino nella vera villa di Craxi, gentilmente concessa dalla famiglia) e fiction palese, con alcuni personaggi che hanno vaghi agganci con i corrispondenti protagonisti della politica e della cronaca, una figlia che si chiama Anita e non Stefania, un pezzo grosso del partito che qui si suicida dopo il fallimento politico, anche se l'onorevole Balzamo a cui ovviamente fa riferimento morì per infarto. Molte stroncature del film partono dall'assunto che Hammamet sarebbe una rivalutazione postuma dell'operato di Craxi, ma Amelio è un regista che non ama questo tipo di semplificazione, non cade nella trappola di fare un film schierato pregiudizialmente "contro" il personaggio ma a mio parere neanche ne nasconde la sostanziale presunzione e l'occasionale ipocrisia. Il mix di rievocazione cronachistica e di elementi "inventati" per comodità narrativa si rivela forse più fragile del previsto, con la presenza del figlio di Balzamo che, nonostante la bravura dell'attore che lo interpreta, risulta a lungo andare accessoria e porta ad uno scioglimento da non rivelare ma meno efficace rispetto al previsto. Il film risulta quindi discontinuo, alterna raffinate intuizioni di sceneggiatura a scelte più discutibili e forzate; la lunga sequenza con il politico interpretato dal sempre infallibile Carpentieri è una delle più acute e intelligenti, mentre certi confronti con la figlia o la scena in cui Bobo canta una canzone di Dalla risultano in effetti quasi dei riempitivi privi di una vera necessità drammaturgica. Pierfrancesco Favino affronta un'altra prova di alta acrobazia istrionica che supera grazie ad un talento eccezionale nel mimetismo spinto a livelli davvero maniacali; è certamente un'interpretazione da premio, eppure un filo al di sotto del suo Buscetta di "Il traditore" di Bellocchio. Fra gli altri, buono nonostante tutto il contributo di Luca Filippi e Livia Rossi, di grande spicco la breve partecipazione di Giuseppe Cederna. Non siamo certamente al livello de "Il ladro di bambini", ma resta un altro tassello scomodo ma tutto sommato utile dell'opera del maestro calabrese.
Voto 7/10
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