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Hammamet

Regia di Gianni Amelio vedi scheda film

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La recensione su Hammamet

di alan smithee
7 stelle

Hammamet è una sfida complessa che Amelio domina e vince evitando certi sarcasmi e macchiette sorrentiniane, pur valide altrove, ma ancor più certe piatte agiografie tipiche di troppa esperienza tv, riuscendo a condensare con efficacia verità e finzione, concentrandosi sull'uomo, più che sulla politica deviata e corrotta di cui divenne simbolo.

"Anita dice che devo aggiungere anni alla mia vita. Ma io invece penso di dover aggiungere vita ai miei anni".

La fine del secolo, oltre che del millennio, è vicina, e il Leone, perduta ogni autorità e credibilità, è fuggito in esilio per evitare la gabbia.

Il suo ritiro, privilegiato più che dorato, lo mette al riparo dai provvedimenti che gravano sulla sua persona, ma non gli impedisce, anzi gli favorisce un continuo tormento di pensieri che lo lacerano più delle problematiche inerenti la diabete ereditaria che ne complica seriamente un quadro clinico già alterato e precario.

E' un ritratto molto introspettivo e privato, intimo e concentrato sui particolari che ruotano attorno agli anni finali della decadenza fisica e morale, quello che Gianni Amelio sceglie di raccontarci a proposito del carismatico leader del Partito Socialista Bettino Craxi.

Senza giudicare troppo, facendo parlare il protagonista, belva ferita che non si concede alla resa ma sceglie il boccone amaro del ritiro anche quando le circostanze critiche inerenti la salute, ne consiglierebbero un mesto ritorno.

Il leader è circondato dalla famiglia, ma l'elemento fondamentale, la chioccia che lo accudisce con un atteggiamento materno in grado di impermeabilizzarlo dal resto del mondo che vorrebbe cancellarlo almeno quanto, solo pochi anni prima, voleva incensarlo, è la presenza potente della figlia, a cui non proprio a caso il film sceglie di mutare il nome originale, con quello "garibaldino" di Anita (la interpreta con passione la giovane Livia Rossi).

La frase pronunciata ad un certo punto dal protagonista alla figlia, "...devi dire a tuo fratello di fare un altro figlio,  perché ad un genitore se muore un figlio, deve almeno poter contare sull'altro", svela l'amarezza ed il distacco di un padre nei confronti di un figlio con cui non è mai probabilmente riuscito a stabilire un giusto contatto, o quell'intesa che invece pare contraddistinguere in modo sin esuberante il rapporto che lega l'uomo con la determinata figlia.

Una ragazza giovane ma vigile, matura, guardinga ed in grado di sostituirsi anche nel ruolo istituzionale di moglie che la vera consorte (qui ben resa da Silvia Cohen) ha sempre in qualche modo rivestito in modo sfumato

Poi la vicenda - ed è in fondo uno dei privilegi di cui può giovarsi con maggior disinvoltura il cinema quando riesce a sfruttarne bene la circostanza - si tinge di giallo con l'arrivo di un individuo dai modi circospetti (il bravo e giovane Luca Filippi) e gli atteggiamenti indecifrabili. Un giovane strettamente legato ad un fidato collaboratore forse troppo inascoltato del celebre politico (ottimamente reso da Giuseppe Cederna in un fondamentale cameo iniziale), che giunge in modo plateale nella tana del leone, venendo accolto in un clima che, in qualche modo, finisce per impedirne la realizzazione dei confusi piani rivendicativi.

Una sorta di giallo, se vogliamo anche un po' azzardato, certo piuttosto rischioso, specie se considerato di per se stesso, ma utile a contribuire a sviscerare meglio e più a fondo le sfaccettature caratteriali che Amelio intende mettere in mostra nel presentarci il suo complicato personaggio di uomo, prima che di politico.

Una cine-biografia su uno dei politici più discussi del '900 come Bettino Craxi rappresentava certo una sfida rischiosa per chiunque.

Incaricarsi di portarla a termine da parte di un regista certo versatile, narrativamente generoso, ma certamente più legato a sondare l'intimità dei suoi personaggi spesso vinti o succubi di un vizio che li travolge, non era scontato affatto e rappresenta un ulteriore valoroso tassello di una carriera impeccabile e spesso forte di risultati indimenticabili ed emozionanti.

L'esperienza, oltre che la capacità di gestire la materia narrativa così come l'impostazione del punto di vista con tenace determinazione, permette al cineasta un approccio originale e sfidante, rischioso e in qualche modo coraggiosamente impermeabile ed isolato rispetto a facili deduzioni e giudizi di carattere politico, storico o morale che renderebbero il personaggio una macchietta da cabaret, che interviene poi nel finale (grazie al frizzante duetto Margiotta/Olcese), quasi a prendere le distanze dal ritratto umano che si è inteso fornire del personaggio.

Fondamentale per poter considerare riuscita questa tutt'altro che semplice sfida biografica inevitabilmente controversa, appare l'interpretazione strabiliante di Pierfrancesco Favino che, pur già avvezzo ad aderenze mimetiche col personaggio come avvenuto, proprio di recente, nel suo pressoché unanimemente apprezzato "Buscetta" di Bellocchio, si prodiga qui in una performance che, al di là della straordinaria somiglianza col vero protagonista, costruita grazie ad una tecnica di make up realistica e quanto mai "naturale", si segnala per la fine ricerca protesa a rendere palese, ma anche naturale e mai macchiettistica o sopra le righe, quella gestualità tipica del famoso personaggio, dando vita ad una sorta di incredibile pseudo-reincarnazione.

Tra gli altri interpreti coinvolti, in piccole fulminanti parti, non si può fare a meno di citare Claudia Gerini nel ruolo della show girl ed amante inarrendevole Patrizia Caselli, Renato Carpentieri in quelli di un affezionato e nostalgico concorrente politico in visita nella tana del leone, ed Omero Antonutti, compianto e qui alla sua ultima interpretazione, nei panni del vecchio padre-voce di una coscienza che conduce il nostro politico ad una gogna degna di una farsa da teatro satirico, non prima di avergli fatto percorrere un percorso espiativo a piedi nudi, sulla terrazza costellata di guglie del Duomo milanese (una scena onirica magnifica). 

Con Hammamet ci troviamo di fronte ad una produzione forte di una impostazione narrativa e scenica tutt'altro che tradizionale o consueta, ma anche distante anni luce rispetto alle cine-biografie calcate e goliardiche (pur valide ed argute) a cui ci ha abituato, ad esempio, il cinema di Sorrentino con Il Divo o Loro; ma anche, e soprattutto, su binari completamente differenti rispetto alle tradizionali impostazioni impeccabili, ma spesso asettiche, che troppe volte la tv ci ha fornito riguardo ad importanti personaggi e protagonisti della storia del nostro Paese e del resto del Mondo.    

 

 

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