Regia di Pietro Marcello vedi scheda film
Un UFO nel cinema italiano contemporaneo, da parte di un regista di grande talento che ha significativamente girato pochissimi film. E d’altra parte, questo film è anche rivolto a quella stessa industria che lo ha spesso emarginato. Con le dovute proporzioni e contestualizzazioni, come Tarkovskij alludeva con il suo Rublev alla condizione dell’artista nell’URSS repressiva del suo tempo, Marcello fa la stessa cosa con Eden riferendosi alla codarda e meschina industria culturale (non sono cinematografica) della nostra attuale Italia.
“Martin Eden” è un film fondato su una serie di plateali anacronismi, nella trama, nelle ambientazioni, negli inserti d’archivio, nelle musiche: un film apolide ed astorico per parlare del nostro presente. Lo stile del regista casertano, che alterna sapientemente e poeticamente il plot romanzesco a suggestive immagini di misteriosa provenienza, raggiunge qui (specialmente nella prima parte) un’intensità ed un’ispirazione magistrali, senza mai cadere nel compiacimento, indovinando tempi ed inquadrature. Una forma matura, sobria eppure ricca di spunti, mai espressionista, sempre semmai impressionista, nel suggerire deboli correlazioni emotive (non narrative né tematiche) fra lo sviluppo della trama e i pezzi da repertorio (spesso incentrate sul mare, le navi, le partenze).
Un cinema dolce, mai invadente, mai urlato, alle prese con discorsi complessi e contraddittori sui massimi sistemi, sull’arte tutta (non solo letteratura: compaiono anche pittura, musica, cinema, teatro…) e sulla sua industria, sui suoi rapporti con la stampa e con la società, sul classismo come ostacolo invalicabile, sull’individualismo come estrema manifestazione di un’aristocrazia d’animo e di pensiero, su una dialettica politica e culturale in cui Martin Eden (outsider maledetto, splendidamente reso da un Marinelli sempre in parte) entra col piede a martello a scardinare ipocrisie e compromessi, a mettere in discussione l’identità stessa dell’artista, la paternità dell’opera: forse allora il flusso libero di immagini imbastito da Marcello serve proprio a mettere in discussione lo statuto stesso dell’opera d’arte (filmica o letteraria che sia) come prodotto di un’unica matrice, quando invece è solo il frutto spontaneo di un immaginario che si genera prepotentemente in barba ai tentativi di controllo dell’artista.
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