Regia di Jonas Carpignano vedi scheda film
Ottimo film sulla ‘ndrangheta - sulla criminalità in generale -, vista da un’angolazione particolare e non battuta, ma non per questo meno istruttiva e fondamentale: quella dei figli dei malavitosi.
La protagonista riflette, cosa non scontata ma meritoria. E finisce – per fortuna - per non accettare il ruolo che famiglia e società le impongono: il silenzioso e fattivo appoggio alla criminalità. La quale è mostrata per quel che è: il padre può dire onestamente che è «per la sopravvivenza». Nel senso che grandi alternative non ci sono. Ma, nonostante tutto, - e in un modo sapientemente sottolineato dall’ellissi, dal non detto, dall’esibizione muta del semplice pensiero mentre viene formulato nella testa della protagonista - la ragazza usa la sua coscienza, che pure non è mai stata educata ad usare: e sceglie le vie offerte dallo stato per sfuggire a questa consuetudine criminale.
Splendido qui è il ruolo dello stato, il primo attore (come è giusto che sia) ad offrire una realtà alternativa ai figli dei malavitosi. Nel senso che adempie alla sua funzione, di offrire una alternativa educativa che sia poi premiata dalla realtà: dei valori diversi, che possano coniugarsi con la spinta di tutti alla felicità più autentica, pur in contesti drammatici.
Carpignano (37 anni all’epoca dell’uscita del film), giovane ma già bravissimo, come regista e sceneggiatore ha anche il merito di non indulgere in un facile encomio dello stato: infatti denuncia la retorica degli esponenti dello stato che, pur con merito – che tanti altri loro colleghi non possono vantare -, fanno il loro dovere di promuovere i valori della legalità.
Come ugualmente denunciata è la retorica della famiglia urbinate che ospita la ragazza: i cui esponenti, comunque affettuosi, dicono anche cose che possono urtare la sensibilità della ragazza, già provata in modo spaventoso. Infatti quest’ultima è chiamata a scegliere tra famiglia e criminalità da una parte, e dall’altra un futuro non macchiato dalla criminalità, quanto meno, e comunque libero, non maschilista (notevole la ribellione della ragazza ai privilegi accordati ai maschi ma non alle femmine, come fumare da adolescenti...).
Eccellente è la resa del condizionamento educativo che spinge alla delinquenza: i silenzi; l’impossibilità di fare domande di senso, o comunque di ottenere delle risposte; l’obbligo dell’ignoranza… tutto all’interno di una resa del tutto realistica, encomiabile per la sua semplicità veritiera: non servono commenti né tante parole, poiché la spontaneità di sentimenti si impone da sola – come ad esempio nella festa dei 18 anni della sorella maggiore, in cui il padre ammette di non saper parlare bene, ma comunque trasmette a suo modo l’affetto per la figlia, che ovviamente ci tiene tantissimo-.
Egregia la scelta degli attori non professionisti, che ammantano l’opera di una verosimiglianza assoluta. Avvalorata anche dal diroccamento complessivo -urbanistico ma anche estetico e soprattutto morale- degli ambienti: una denuncia di certa realtà calabrese.
Ottimi anche la fotografia, e l’uso della camera, mossa e puntata su intensi primi piani.
Insomma, un signor film di impegno civile dei nostri tempi.
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