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Le sorelle Macaluso

Regia di Emma Dante vedi scheda film

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La recensione su Le sorelle Macaluso

di laulilla
8 stelle

Insolito e originale film italiano, presentato a Venezia nell'ultima rassegna d'arte cinematografica.

 

Emma Dante torna al cinema adattando allo schermo una sua pièce teatrale, molto apprezzata, che porta lo stesso titolo, ovvero Le sorelle Macaluso: lo fa – affiancata nella sceneggiatura da Elena Stancanelli e Giorgio Vasta – non solo modificandone il copione, e riducendo il numero delle sorelle protagoniste (che da sette diventano cinque) ma, soprattutto, visivamente, mettendo al centro del suo film una palazzina periferica di Palermo e il mare di Mondello, la spiaggia palermitana che, con uno squarcio ottenuto a colpi di bastone nel muro dello scantinato, diventa visibile fin dall’inizio del film.

 

Il varco è qui?

 

Il film comincia proprio con questa sequenza, straordinaria sul piano simbolico e cinematografico: il varco, faticosamente aperto, permette alla luce di penetrare quel tanto che serve alla visione di quel mare, lontano nello spazio, e lontano nel tempo, poiché il raggio dorato di sole, che offre allo sguardo qualcosa di simile a un’antica e ingiallita immagine fotografica, ci immette, quasi senza che ne prendiamo coscienza, in pieno film. Emma Dante procederà  gradualmente nel racconto, iniziando proprio con l’evocazione di  questa voglia di mare e di spiaggia, struggente momento di riflessione sul passato che non può tornare se non attraverso l’affiorare dei ricordi quando, molti anni dopo, la memoria si fa più debole e le sorelle che ancora ne conservano le tracce stanno per abbandonare per sempre questo mondo.

Nella palazzina palermitana delle giovani Macaluso (Maria, Pinuccia, Lia, Katia e Antonella), il piano alto ospita la colombaia, dimora dei colombi che vengono affittati su richiesta (non mancavano, nella Sicilia di allora gli eventi per i quali erano utilizzati: processioni, matrimoni, feste patronali…) e che sono addestrati per volare dopo il colpo di starter e tornare alla casa.
Allevarli è il lavoro delle sorelle che di quello campano, anche se ciascuna di loro coltiva in segreto un grande sogno, come tante altre ragazze giovani: Maria si allena per diventare ballerina; Pinuccia vorrebbe sposare l’uomo che ama, Lia si esercita per scrivere come una grande scrittrice, mentre Katia sembra la più adatta a occuparsi della casa. Antonella, che è la piccolina della famiglia, per ora guarda e ammira la più bella, Pinuccia, quando si  trucca e (talvolta) le passa un po’ dl rossetto sulle labbra.

 

 

 

 
 Muor giovane colui ch’al cielo è caro 

(Leopardi da Menandro)

 

Un drammatico fatto, tuttavia, interrompe l’atmosfera festosa della casa e i sogni a lungo vagheggiati delle fanciulle: diventare adulte, per quattro di loro, significa fare i conti con una realtà pesantissima, del tutto imprevedibile: in un giorno pieno di sole, Antonella è inghiottita da quel mare affollato di bagnanti verso il quale, con le sorelle, si era avviata con la gioia nel cuore e nel corpo (solo alla fine del film conosceremo i particolari di quella morte che nulla avrebbe lasciato presagire). Fu un’entrata traumatica nell’età adulta per le quattro sorelle, tanto inevitabilmente, quanto ingiustamente devastate dai sensi di colpa, dai rimorsi che i rinfacci reciproci, seguiti da liti furibonde, aggravavano inutilmente, cosicché l’armoniosa e vivace convivenza di un tempo era diventata un rancore acido e rabbioso che aveva travolto le esistenze di Maria, ora ammalata gravemente, di Lia e di Pinuccia, la ex bella, che nel corpo e nella mente portava i segni di una follia così devastante da renderla irriconoscibile.  I tentativi di Katia (che non abitava con loro) di ricomporre i dissidi più gravi, non avevano sortito alcun effetto. A lei sarebbe rimasto l’ingrato compito di riordinare quel che rimaneva della casa, progressivamebte svuotata degli oggetti di valore, e dei piccioni, che col loro volo avrebbero accompagnato l’ultima delle bare calata dalla finestra.

 

 

 

 

Il racconto è ricchissimo di allusioni letterarie e di citazioni cinematografiche e musicali così numerose da aver provocato le accigliate proteste di molta parte della critica, che ha parlato (anche troppo) di eccessi barocchi ingiustificati, tenendo poco conto invece che la stessa cultura letteraria siciliana da Cielo D’Alcamo a Verga ha offerto alla regista più di uno spunto creativo.

 

A me, che non sono un critico, ma semplicemente una persona che ama il cinema, il film è sembrato nel suo complesso, una meditazione sul desiderio, espresso incontenibilmente dai corpi delle protagoniste da giovani, e sempre presente, anche nelle età successive, ciò che è all’origine del profondo disincanto nei confronti delle illusioni, e della impossibilità anche fisica di farle in qualche modo rivivere.

 

Aggiungo che molto di questo film mi ha ricordato alcune opere di Bergman, soprattutto Sussurri e grida, in cui il tema delle sorelle  e dell’odio rabbioso che le separa di fronte al dolore e alla malattia si accompagna alla meditazione sulla casualità che governa imperscrutabilmente i nostri destini (è comune ai due film il tema metaforico della nostra vita nelle mani del burattinaio-puparo invisibile che muove i nostri passi, nel silenzio di dio).

 

 

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