Regia di Antonio Rezza vedi scheda film
Cresciuto sulle quinte dei teatrini della capitale e premiato già due volte al Festival di Bellaria, Rezza approda al cinema con un film che vorrebbe essere stravagante ed innovativo. Le posizioni acrobatiche in cui colloca la macchina da presa, gli assiepamenti insoliti di varia umanità e l'unica smorfia prognata che rivolge all'obiettivo per l'intero film sono troppo poco per emulare la provocatorietà sardonica di un altro film del genere, Lo zio di Brooklyn. Il confronto con il manifesto della nouvelle vague iconoclasta made in Italy firmato da Ciprì e Maresco è d'obbligo se si vuole tenere conto di una maniera nuova - ma non sempre azzeccata - di fare cinema senza raccontare una storia. In Escoriandoli gli spunti narrativi sono addirittura cinque, tutti ambientati a Roma e tutti ugualmente evanescenti. Nel primo accade di tutto durante l'orazione funebre di un giovane australiano. Nel secondo una ragazza (Valeria Golino) si innamora della prestanza, si fa per dire, del solito Rezza, piantando il convivente pantofolaio. Ma uno strano destino farà ringiovanire quest'ultimo ed incanutire il primo. Il terzo episodio racconta i sistemi di persuasione coercitiva che un istituto guidato dalla Dott.ssa Coatta (ancora Rezza) adottano nei confronti dei giovani pazienti non abbastanza allineati. L'episodio successivo vorrebbe tornare a scherzare sulla morte, narrando il cammino lento verso la signora con la falce di un uomo che non si rassegna al mancato perdono da parte di un tizio a cui ha pestato il piede in autobus. La vicenda di chiusura è quella di un giovane agorafilo al quale il corpo non obbedisce, impedendogli di raggiungere i luoghi stracolmi di gente. Si infliggerà pene corporali tali da mutilarsi al punto di restare con la sola testa. Rezza e Mastrella giocano con la morte, la malattia e l'amore ma lo spunto fregoliano è misero, gli sbadigli non si fanno attendere e l'operazione, come già era accaduto per la Guzzanti con Troppo sole, sprecata.
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