Regia di Davide Pesca vedi scheda film
Tortura, dolore, sangue: l'espiazione degli umani peccati tramite la carne, ovvero della sofferenza come mezzo di avvicinamento al Divino. Suffering Bible può essere visto come la versione italiana di Martyrs, cioè a dire un tripudio di effetti speciali che vanno ben oltre l'immaginazione.
Cinque episodi dell'orrore (sei con la cornice) filtrati attraverso una rilettura angosciante di alcuni dei Dieci Comandamenti. Tutti i segmenti muovono da una concezione distorta di accostamento all'estasi mistica similmente a quanto visto in Martyrs. Con la sofferenza della carne, l'avvicinamento a Dio viene qui teorizzato (sottoforma di incubo) come possibile.
Mentre un uomo e una donna, nudi e bendati, strisciando in un bosco tra le foglie stanno per incontrarsi, si svolgono cinque atti, inerenti metà dei Dieci Comandamenti.
Act 1 - My only God (Comandamento: “Non desiderare la donna d’altri.“)
"Avevi promesso che saremmo state amiche per sempre...": con tono sconsolato una ragazza, ferita dall'allontanamento della migliore amica, si rivolge alla giovane legata ad un letto. Quindi, dopo averla sventrata, esegue un analogo rito sul suo corpo, per poi accoppiare, con ago e filo, gli intestini.
Act 2 - St. Thomas (Comandamento: “Non nominare il nome di Dio invano.")
In apertura il celebre dipinto di Caravaggio (San Tommaso) anticipa le azioni di un frate, mentre esegue autoflaggellazione sul suo corpo davanti alla croce. Improvvisamente gli appare di fronte Cristo, inchiodato al sacro elemento e con il costato sanguinante. È quell'apertura, inizialmente appena accennata, che induce il monaco a introdurre via via più a fondo la mano nella ferita.
Act 3 - In the name of the Father
(Comandamento: "Non dire falsa testimonianza.")
Una ragazza, forse in colpa per una confessione non veritiera, si fa il segno della croce davanti a testi sacri anche mentre -completamente nuda- si toglie un occhio e strappa un capezzolo, quindi taglia il clitoride per poi mangiare le parti del corpo rimosse. Ormai in un bagno di sangue, continua a farsi il sacro segno.
Act 4 - The pact
(Comandamento: “Non avrai altro Dio all’infuori di me.“)
La Morte, con sembianze di donna velata, rimuove le viscere di una ragazza insoddisfatta del suo aspetto.
Act 5 - Redemption of the lost souls
(Comandamento: "Non commettere atti impuri.")
Davanti a una telecamera, due spietati carnefici oltraggiano a morte tre persone: una ragazza subisce violenza facciale con coltello e acido; un uomo viene accettato alla schiena; un anziano subisce i devastanti effetti di una sega circolare a motore. Infine, ai familiari di una delle vittime viene reso conto di quanto accaduto.
Anti Eden. In prossimità di un albero, sotto un cielo coperto di nubi, i due striscianti nudi personaggi feriti e bendati si incontrano, si passano una mela, giusto un attimo prima che gli elementi della natura si scatenino: la ragazza viene penetrata con violenza da rami semoventi; il ragazzo trafitto da un tronco.
"Su questa terra nera, umida, avida, ancora ti muovi. Arranchi e strisci ma a lei sei già carcassa. Avida beve il tuo sangue. Le tue carni le saranno pasto. E frughi, scavi e strappi. E nel massacro del corpo che ti è prigione trovi il tuo Dio. Lacera il prossimo tuo come te stesso." (Samaang Ruinees, didascalia che anticipa i titoli di coda)
Primo capitolo in attesa di conclusione (i Comandamenti mancanti) in grado di suscitare senz'altro forti emozioni. Siano esse di disgusto, malessere, rabbia o disprezzo verso un approccio (non) blasfemo, probabilmente nichilista (la citazione da Samaang Ruinees), di certo perturbante. Come che sia, l'operazione non ha precedenti in ambito nazionale, e ricorda piuttosto -essendo però molto meglio studiato- il Sexandroide di Michel Ricaud. Perché anche qui i contenuti sono confinati in due categorie, ovvero sex & violence. Già all'attivo, con corti finiti in tre film collettivi (17 a mezzanotte, A taste of Phobia e, tra gli altri, l'episodio di After midnight: The taste of the survival) e con il lungometraggio Deep Web XXX, Davide Pesca con grande determinazione e maggiore cura, ripone nel progetto enormi energie. Scrive, interpreta, realizza i riusciti effetti speciali e di make up (tutti rigorosamente artigianali) e ovviamente dirige. Ma cosa, esattamente? Un film sperimentale, innovativo, che potrebbe -erroneamente- apparire al limite del sacrilego (e fors'anche oltre).
Privo di dialoghi (se si esclude la sintetica frase del primo atto e due battute nel quinto), con passaggi costanti dal bianco e nero al colore, realizzati appositamente per dare maggior risalto al rosso del sangue che sgorga copioso dai numerosi tagli, dagli squarci, da lame dissacranti, da mani prepotenti, da oggetti sfacciati che affondano -penetrando con fermezza- in corpi umani. Corpi frementi, nervosamente e brutalmente solleticati ma che, per quanto martoriati, in parte accettano (desiderano) tale violenza, perché in grado di esaltare i sensi e portare le vittime -reversibili come carnefici- ad un livello estatico. Se vogliamo, il regista potrebbe essersi vagamente fatto condizionare da Martyrs, anche se qui si spinge assai oltre, affondando senza sosta (né freno) -nella più banale materia organica, oltre l'anima- uno sguardo impudico, sfrontato, spudorato, immorale, svergognato, indecente, osceno per quanto audace e provocante. Davide Pesca fa questo passo pericoloso maledettamente bene, riuscendo a trovare i punti di forza proprio nei limiti della produzione, ovvero in attori anonimi, nel minimalismo del set, nel silenzio sacrale e in un contesto ambientale da Purgatorio, quando non da Inferno. 65 minuti efficacemente sconvolgenti, che guidano lo spettatore in un fuorviante percorso asceticus, non contemplativus e, al medesimo istante, mysticus.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta