Regia di Abel Ferrara vedi scheda film
TFF 37 - FESTA MOBILE/ABEL FERRARA: FICTION che tende al DOC... ma pure viceversa. Quest'anno il TFF 37 accoglie ben due opere del grande regista italo-americano Abel Ferrara: Tommaso e The projectionist. Due progetti solo apparentemente distanti per tematiche e stili, soprattutto narrativi e accomunati tuttavia dalla presenza - fisica e/o moral-caratteriale - dello stesso regista, nonché della sua famiglia: la giovane moglie Christina Chiriac e la bellissima bambina e figlia Anna (nel film Tommaso è la incantevole Elisa, che nel finale mima pure la mossa della Loren tra le note di Tu vó fa l'americano), frutto della loro unione. In Tommaso si racconta una storia che, almeno nella prima metà, appare molto autobiografica, di un uomo di cinema americano che ha scelto Roma come sua dimora stabile, ove vive con la giovane bella moglie e la adorabile figlioletta bionda, dividendo le giornate tra lezioni di italiano fruite da studente, lezioni di recitazione impartite da insegnante, riunioni serali presso gli alcolisti anonimi per scongiurare una ricaduta nel mondo delle tenebre che la dipendenza gli ha creato una dozzina di anni prima.
La "crisi in tempo di pace" che precipita su Tommaso, sfocia in una tragedia pulp utile soprattutto, probabilmente, a sviare lo spettatore da troppi sospetti autobiografici. Di fatto Willem Dafoe, amico ed attore di riferimento nella filmografia di Ferrara e romano per scelta da anni pure lui, è perfetto a concedersi come alter ego del regista, mettendosi a nudo con ammirevole solerzia ed impegno tra le pieghe dinamiche e ancor toniche di quel suo fisico che resta tonico nonostante l'età non più tenera. Un fidico perfetto per incarnare quella seconda giivinezza che una paternità tardiva talvta riesce a suggellare dopo una crisi esistenziale, artistica e personale che solo così può ritenersi appannaggio di un passato ormai abbandonato.
The projectionist invece è un doc incentrato sulla pacata, ma pure carismatica figura di un illuminato e scaltro cineoperatore ed imprenditore di successo fattosi da sé, di origine cipriota. Il suo nome è Nicolas Nicolaou, e da umile emigrante ci racconta come si è trasferito ancora bambino negli Usa emergendo da semplice garzone, a gestore di sale cinematografiche a luci rosse negli anni del boom tra i '70 e gli anni '90, fino a divenire lungimirante e illuminato gestore di sale commerciali indipendenti con una vocazione cinefila ed un orgoglio sfidante contro lo strapotere soverchiante degli Studios e dei magnati delle grosse catene distributive. Qui Ferrara, oltre a dirigere e a seguire con passione questo affabile e pieno di appeal uomo d'affari sin nella natia ed assolata Cipro, si circonda, nel suo lavoro di pedinamento, della giovane moglie Christina e la figlioletta Anna, che appaiono di sfondo, ma con un valore di ben altra intensità che un semplice fine decorativo.
E le due opere - entrambe molto intime ed introspettive, entrambe assai riuscite e colme di quello spessore che solo la vita vissuta intensamente e anche sbagliando, riesce a lasciare - appaiono come due film molto diversi già dalla forma. Per Tommaso, ad esempio, la narrazione cede spesso il posto alla descrizione introspettiva quasi documentaristica tanto appare personale e privata. Per The projectionist, invece, avviene quasi il contrario: il protagonista nel raccontarsi diventa - sotto lo sguardo preciso e sicuro di un Ferrara che evita, e in entrambi i film, carinerie fuori luogo che non siano frutto di una deliberata spontaneità né tantomeno inutili autocensure nel mosttare ad esempio anche brevi frammenti di film porno anche a tematica gay - quasi un personaggio di fiction, ribaltando la situazione di Tommaso, e trovando tra le due opere una felice, azzeccata, curiosa liaison.
Questa recensione "in comune" - oltre che a consentirmi opportunisticamente di portarmi avanti sul lavoro "prendendo due piccioni con una fava", circostanza assai utile per sopravvivere ai tempi stretti e concitati di ogni festival - è forse anche utile a tentare di tracciare quei nessi in comune che due opere consequenziali così apparentemente disparate, riescono invece a portarsi dietro.
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