Regia di Giorgio Cristallini vedi scheda film
Piccolo western, peraltro vecchio stile in un periodo di parodie (pur se intriso di ironia), girato molto bene dal mestierante Cristallini, regista in auge negli anni cinquanta e poi finito a fare il regista delle seconde unità dei vari Cottafavi e Tessari per ritornare dietro alla macchina da presa da direttore a inizio anni settanta. Ormai cinquantenne, Cristallini scrive e dirige questo western, cercando una sua distintività nella sceneggiatura. La cosa riesce, a tratti. Cristallini, che si era fatto le ossa nelle scene di massa e di azione, è a proprio agio nelle scene delle sparatorie, peraltro lunghe (si veda il prologo che dura circa otto minuti ed è una sparatoria), ma non è altrettanto bravo in fase di scrittura. Le caratterizzazioni dei personaggi e gli sviluppi della storia sono molto fiacchi e il film ne risente sul piano del ritmo. Molte le battute d'arresto in un soggetto che vede contrapposti due personaggi. Da una parte un pugile (Hardin) attempato che combatte nei saloon, dove vengono installati ring di fortuna, dall'altra un bandito (Giacomo Rossi Stuart) che ha perso una frana di soldi nelle scommesse e accusa il protagonista di aver vinto per aver comprato gli incontri. Deciso a rifarsi, il bandito pensa bene di perseguitare il protagonista che, nonostante la passione per la nobile arte, è un facoltoso uomo di buone maniere che vive in compagnia dei figli in un ranch, accompagnato da un cavallo circense che esegue comandi vocali e corre a chiedere aiuto. Rapine, rapimenti e sparatorie si susseguono, in una copione tuttavia dallo scarso mordente, che sembra vivere proprio per tenere unite le tre grandi sequenze d'azione che sono, tuttavia, degne di menzione. Plauso, indubbio, all'impegno di Cristallini che gira come se fosse alle prese con un prodotto di serie A, mettendo un studio che è apprezzabile dallo spettatore e che lo porta a ricercare le inquadrature di maggior effetto, senza tirar via o farsi prendere dalle furie. Da evidenziare l'omaggio finale a Lo Chiamavano Trinità, il riferimento va alla scena iniziale con Terence Hill che carica Cimarosa sulla sua sdraia a strascico.
Interpretazioni sufficienti. Hardin non è un protagonista dotato di magnetismo, fornisce una prova molto convenzionale senza infamia e senza lode. Meglio di altre volte Giacomo Rossi Stuart, padre di Kim, nei panni del cattivo. Bellocci e bellocce il resto della ciurma (tra cui la moglie di Hardin, che interpreta la figlia del personaggio dallo stesso interpretato), con qualche caratterista noto come Cianfriglia nei ruoli minori.
Carina e variegata la colonna sonora di Micalizzi (bella la main theme, assai ritmata). Niente di eccezionale per quel che riguarda la storia del cinema bis, ma bella prova tecnica di Cristallini. Giusto allora parlare anche di un regista minore come lui, per un western che, ai giorni d'oggi, avranno visto una decina di persone.
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