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Tre piani

Regia di Nanni Moretti vedi scheda film

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La recensione su Tre piani

di Gangs 87
5 stelle

Primo piano: Lucio, Sara e la piccola Francesca trascurata per il loro eccessivo abuso di tempo dedicato al lavoro e ad altro, spesso lasciata ai vicini Giovanna e Renato; quest’ultimo ha iniziato a manifestare vuoti di memoria così un giorno porta la ragazzina al parco ed è incapace di tornare a casa. Lucio, impossibilitato a sapere cosa sia accaduto immagina violenze e abusi inesistenti torturandosi e torturando chi lo circonda. Interpretato da Riccardo Scamarcio, Lucio è il primo personaggio che non funziona. Come sempre privo di espressioni capaci di trasmettere le emozioni del momento, Scamarcio non riesce a creare la giusta empatia affinché lo spettatore comprenda le sue angosce e i quei suoi gesti di riflesso che lo animano.

 

Secondo piano: Monica ha partorito da poco, porta da sola il fardello e la responsabilità di una famiglia che nasce, con Giorgio, suo marito, sempre fuori per lavoro e il terrore di poter un giorno finire come sua madre, in manicomio. Monica è un personaggio che funziona, il merito però è di Alba Rohrwacher, la sua capacità di mettere in scena le sensazione di cui sopra è straordinaria e concreta, prende un pezzo di questa arida sceneggiatura e lo avvolge nel suo calore recitativo donandogli vita.

 

Terzo piano: i giudici Dora e Vittorio, insieme ad Andrea, il figlio ventenne che, una notte mentre era ubriaco alla guida della sua auto, investe e uccide una donna chiedendo ai genitori di evitargli il carcere ma Vittorio crede che Andrea debba pagare per i suoi errori così il giovane si allontana dalla famiglia con grande dolore della madre. Vittorio è l’altro personaggio che non funziona, ahimè il caro Nanni è rigido e poco espressivo, non riesce nemmeno a dare alla voce la giusta intonazione. Dora invece è Margherita Buy, qui si che qualcosa funziona. I suoi sorrisi accennati, gli occhi che parlano, i movimenti sì lenti come tutti i personaggi, ma armoniosi necessari, come quella solitudine che ad un certo punto la investe e la riporta alla luce.

 

Tre piani, tre apparenti solitudini che, per quanto in parte ben rappresentate dalla Rohrwacher e dalla Buy, non riescono mai a sviluppare pienamente il timore, il disturbo, il disagio di quella condizione solitaria che è esistenziale ma che spesso si percepisce come conseguenza di una perdita o di una mancanza, non prende espressione nella pellicola di Moretti che, per quanto sia ormai noto che ad un certo punto le sue sceneggiature abbiano subito una virata, una brusca virata, qui sembra dissolto ogni senso logico ed emozionale; lo si denota non solo attraverso questa incapacità di rendere umani i protagonisti ma anche nel modo schematico con cui decide di raccontare la loro vita.

 

Diciamo che questa prima esperienza con una sceneggiatura non originale, la pellicola infatti si basa sull’omonimo romanzo di Eshkol Nevo, non è stato poi un granché, il fatto che i francesci a Cannes lo abbiamo applaudito per undici minuti è un evento a me incomprensibile, non ci resta che sperare in un ritorno alle originali scritture.

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