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Tre piani

Regia di Nanni Moretti vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Tre piani

di steno79
6 stelle

Il cinema di Michele Apicella, di don Giulio e dell'autobiografismo velato si è concluso già da tempo e Moretti prova, per la prima volta, a realizzare un adattamento letterario, esponendosi fin da subito a reazioni perlopiù negative della stampa estera a Cannes, anche se adesso affronta il verdetto del pubblico in sala dopo una lunga attesa dovuta alla pandemia. Partendo probabilmente da una riflessione affine a quella celebre di Sartre, "L'enfer c'est les autres", Moretti ci guida attraverso tre episodi distinti in microstorie di infelicità quotidiana e difficoltà relazionali, coniugali e familiari che trovano un'apertura nella parte conclusiva. Purtroppo l'opera è strutturata in maniera alquanto rigida, con blocchi narrativi che scorrono in parallelo in maniera non sempre fluida, attraverso ben due ellissi di cinque anni, con una scrittura che a mio parere, pur non mancando di felici intuizioni, nel complesso lascia un po' a desiderare. La scrittura arranca sorprendentemente nelle motivazioni psicologiche di certi personaggi, nelle sfumature, in certi dialoghi che risultano poco credibili o gratuiti: l'ossessione che divora l'esistenza di Lucio dopo lo smarrimento della figlia, per esempio, non risulta sufficientemente giustificata, tanto da portarlo ad una scena come l'aggressione in ospedale dell'anziano vicino che risulta inutilmente sopra le righe, e anche l'episodio della seduzione di Charlotte va avanti in maniera poco convincente, con una scrittura purtroppo decisamente al di sotto degli standard a cui Moretti ci aveva sempre abituati, anche nelle opere più recenti come lo struggente "Mia madre". Anche l'episodio della coppia di giudici il cui figlio viene arrestato per omicidio stradale e viene da loro ripudiato contiene alcuni momenti (soprattutto la lotta a calci fra padre e figlio) che in sala hanno fatto scappare qualche risatina, ed è un brutto segnale per un regista dell'intelligenza e del talento ormai stagionato come Moretti. La seconda parte, e in particolare il finale, contengono momenti che, pur all'insegna di una mestizia autunnale, riscattano un po' le cadute più plateali e risollevano un po' il livello di un'opera purtroppo destinata ad essere ricordata come minore nell'ambito di un percorso artistico pluridecennale. Non posso ovviamente paragonarlo col libro che non ho letto, ma ho il sospetto che il cambio di ambientazione dall'Israele a Roma non gli abbia giovato. Nel cast buone soprattutto le performance di Margherita Buy, ormai vera musa morettiana, e di Alba Rohrwacher, mentre Riccardo Scamarcio non riesce a restituire la complessità del personaggio sia per gli errori di scrittura che, forse, per sue lacune espressive, e Moretti stesso è inutilmente forzato nella parte del padre di Andrea. Un film che non merita il massacro di Cannes ovviamente, ma un'opera che non può dialogare col pubblico alla maniera di "La stanza del figlio" o "La messa è finita", pellicole cariche di una cognizione del dolore molto più straziante. 

voto 6/10

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