Regia di Benny Safdie, Josh Safdie vedi scheda film
Ebbene, come molti di voi sapranno, lo scorso 31 Gennaio approdò su Netflix il film Diamanti grezzi (Uncut Gems), firmato dai fratelli Benny e Josh Safdie, autori già dello strepitoso Good Time con Robert Pattinson.
Film della consistente durata di due ore e quindici minuti che, negli Stati Uniti, dalla commissione di censura, è stato classificato come Rated R per i seguenti motivi, cioè for pervasive strong language, violence, some sexual content and brief drug use.
Difatti, trattasi di una pellicola alquanto spiazzante, inconsueta per gli standard tristemente buonisti dell’odierno, troppo consolatorio Cinema americano a stelle e strisce, intrisa d’un perturbante, allucinato pessimismo sorretto dalla bellissima fotografia di Darius Khondji, acquosa, evocante suggestive atmosfere plumbee a loro volta pregne di dura malinconia in linea coi suoi lavori più cupi e migliori come Seven di David Fincher e, recentissimamente, con la furibonda, ammaliante serie televisiva di Nicolas Winding Refn, Too Old to Die Young.
Se proprio, infatti, vogliamo giocare di parallelismi autoriali, i fratelli Safdie, con questo loro splendido gioiello, anzi, con questo bijou, piena zeppo di nerissime atmosfere notturne luminosamente perlacee come una gemma (e non ci riferiamo, ovviamente, solo al facile accostamento del richiamo del titolo originale), girano con uno stile flemmatico e poi improvvisamente cinetico e frenetico, pervaso da primi piani, con macchina a mano, che possono perfino ricordare Refn stesso.
Refn, invero, potrebbe sembrare un cineasta agli antipodi rispetto ai fratelli Safdie. Poiché, Diamanti grezzi, malgrado a differenza delle opere di Refn, spesso ossessivamente lente e volutamente soporifere, se ne distacchi per via d’un montaggio che, invece, non lascia un attimo di tregua, possiede a ben vedere, in profondità, intagliato nella roccia dei suoi viscerali stilemi all’apparenza invisibili, esattamente la compattezza granitica del migliore Refn.
Infatti, Diamanti grezzi, al di là della sua velocissima alternanza di ritmo, montaggio e immagini sincopate, emana la stessa agghiacciante malinconia tetra che emerge e si respira nei film di Refn.
Questa, in sintesi, la trama:
un carismatico e al contempo casinista gioielliere di New York, Howard Ratner, (Adam Sandler) si districa fra mille, piccoli grandi intrallazzi. Scisso fra un matrimonio sulla via del tramonto e una vita privata sull’orlo del collasso suo emotivo, un’esistenza o, per meglio dire, una sua tragicomica resilienza disastrosa e piena di complicazioni. Lui se la cava sempre con ardite scommesse e impavidi colpi truffaldini da gambler. Forse soltanto ladruncolo però del suo destino già in pericolo di crollo.
La situazione per lui precipita del tutto quando fa conoscenza, per strambe circostanze della sua vita pazzesca, col vero campione dell’NBA Kevin Garnett. Cosicché, quel diamante, piombatogli per grazia ricevuta dal cielo dell’Etiopia (se vedrete il film, capirete cosa intendiamo), repentinamente, in una sarabanda di disgraziati eventi nei quali Howard si catapulta e dai quali viene spesso involontariamente, fra equivoci a serpentina, travolto e per colpa di cui la sua vita ancora di più viene capovolta e stravolta, potremmo dire che diviene la metaforica pietra tombale di tutto il suo innato, sino a quel momento da lui scampato, essere il vertiginoso prodotto del suo sbaglio da uomo innatamente, , meravigliosamente straordinariamente sfigato.
Adam Sandler giganteggia, inaspettatamente, da attore bravissimo.
Caricandosi, come si suol dire, tutto il peso del film sulle proprie spalle, sul suo corpaccione da irresistibile imbranato ipnotico, giocando sorprendentemente, in virtù di sfaccettate smorfie e molteplici espressioni del suo viso e dei suoi occhi languidamente mobilissimi, con una micidiale sordina pronta presto a divampare in irrequieta ferocia devastante.
Il film dura un po’ troppo e, sino ai primi quarantacinque minuti, non gioca apertamente le sue carte.
Infatti, sino a questo punto, non sappiamo se ci troviamo di fronte a una commedia, per l’appunto tipicamente sandleriana, o a un thriller magistrale.
Per chi ama il Cinema indie di estrema qualità e intaglio prezioso, Diamanti grezzi è un film imperdibile.
Per chi, invece, detesta a pelle Adam Sandler e non vuole concedergli nessuna chance, sebbene questa sia a oggi la sua migliore interpretazione in assoluto, sarà naturalmente prevenuto e non potrà gustarsi a fondo e appieno né Sandler né ogni sfumatura brillante di un film apparentemente nichilista e immerso in giorni tremendi e allo stesso tempo vivamente, in ogni senso, abbacinanti.
di Stefano Falotico
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