Regia di Benny Safdie, Josh Safdie vedi scheda film
Un tour de force che consacra il talento dei Fratelli Safdie, che al loro terzo film riescono addirittura a superare in bellezza il bellissimo Good Time e a portare a casa uno dei film più interessanti della scorsa annata.
I protagonisti dei film dei Fratelli Safdie sono portatori di iella. Ovunque essi vadano portano solo guai, sia a loro stessi che alle persone che li circondano. Il protagonista dello straordinario Good Time era Connie, interpretato da un eccellente Robert Pattinson. Un personaggio trasandato, vile e opportunista, che per sfuggire all'assurda situazione in cui si era ritrovato le tentava tutte, fallendo miseramente ad ogni tentativo. Good Time era una continua corsa verso l'abisso, una sequela di situazioni drammatiche che non facevano altro che peggiorare a causa della natura auto-distruttiva del protagonista. Una natura intrinseca nell'animo umano, quella del fallimento, che in certi soggetti si manifesta molto di più, in quanto essi sono incapaci di controllarsi e di capire quando si oltrepassa il limite. Quel limite che non dovrebbe essere oltrepassato, quel passo piu lungo della gamba che certe volte sembra quasi l'unica via disponibile e che invece è l'unica che non dovremmo mai prendere.
In Uncut Gems i Fratelli Safdie portano avanti questo racconto del fallimento umano che ha caratterizzato i loro primi due film e lo fanno attraverso una pellicola che è un Tour De Force folle e senza freni, che riesce a sorprenderti anche quando pensi di aver capito dove voglia andare a parare.
Uncut Gems inizialmente sembra girare attorno a una pietra, un'opale, il diamante grezzo a cui fa riferimento il titolo del film. Un diamante che all'inizio sembra essere simbolo di un contatto con il nostro passato e con ciò che ci ha preceduto, un qualcosa che ci rievoca ricordi che sentiamo essere dentro di noi. Verso la fine della pellicola questa pietra tanto ambita altro non ci sembrerà che una delle tante dimostrazioni dell'avidità umana. Questo perché il vero centro a cui ruota attorno la pellicola dei Fratelli Safdie è in realtà il denaro. I soldi, guadagnati sia giustamente che illegalmente, che ossessionano la vita dell'uomo, portandolo a fare di tutto per soddisfare quell'inutile desiderio egoistico di possedere più ricchezze possibili per vivere la propria vita al meglio, o piuttosto quello che egli crede essere il meglio. A differenza dell'ultimo capolavoro di Ken Loach, qui il denaro non è necessario alla sopravvivenza dell'individuo e non è la paura di non guadagnare abbastanza ad opprimere le persone. In questo film il denaro è una cosa di cui l'uomo non può fare più a meno, in quanto egli nel profondo ama la ricchezza più della sua stessa vita. Perché quando abiti in una società consumistica come quella americana (che ha influenzato per ovvie ragioni anche il resto del mondo), il futile diventa il bene di prima necessità e diviene fondamentale il cercare modi per arricchirsi il più possibile. In tutto questo la costante ricerca di profitto causerà ulteriori problemi, fino ad arrivare a un punto in cui il denaro diverrà un qualcosa di necessario per salvarsi la pelle.
Lo stile dei Fratelli Safdie è ormai più che consolidato. Visivamente assistiamo a un uso della camera a mano che non infastidisce come in molti altri film di questo genere ma piuttosto aiuta ad aumentare quella sensazione di continua schizofrenia e follia che alleggia attorno alla pellicola. I loro film riescono a innervosire lo spettatore, facendogli provare stress e costante tensione in ogni scena. Ma non quello stress che ben presto si trasforma in noia, piuttosto quel tipo di tensione talmente sottile che ti mantiene costantemente in ansia e ti incuriosisce a vedere dove la pellicola andrà a parare. Mai un momento di sbadiglio o di incertezza, solo 140 minuti che ti tengono incollati allo schermo proprio grazie allo stile dei Fratelli Safdie, che riescono a girare in modo interessante pure l'ordinario, ciò che noi riteniamo essere la normalità. Una colonna sonora ritmata e per nulla eccessiva (a parte forse nei primi minuti del film) mantiene lo spettatore constantemente col fiato sospeso, fino a fargli tirare un sospiro di sollievo nei momenti in cui sembra che la calma sia tornata, per poi sovvertire ulteriormente il suo punto di vista attraverso una scelta che cambia tutta la nostra percezione del film. Se inizialmente il film mi sembrava un po' troppo caricato, man mano che andava avanti mi sono reso conto di quanto fosse invece sottile ed elegante nella sua completa pazzia.
E poi c'è lui. Quella faccia da schiaffi di Adam Sandler, che ogni volta che appare sullo schermo vorresti abbracciare e picchiare allo stesso tempo. Con quei suoi denti sporgenti e quel taglio di capelli così imbarazzante. Quel suo accento che invece di essere ridicolo dona linfa vitale ad ogni dialogo pronunciato dall'attore. A Sandler viene infatti dato il compito di interpretare il ruolo di Howard Ratner, negoziante ebreo di gioielli e pietre preziose, che si rivelerà essere un personaggio dalla natura altamente discutibile. Un vero perdente, una di quelle classiche persone a cui sembra capitare sempre ogni possibile sfortuna. Quando in verità è proprio lui a portarsi dietro tutte quelle sfighe perché invece di mollare continua ostinato sulla sua strada. Anche quando fallisce le tenta tutte per ritornare sulla buona strada in quanto anche il più piccolo dei successi è da lui visto come una vittoria alla lotteria. E quindi continuerà a sbagliare e a cacciarsi nei guai, ma a differenza di Good Time non ci sarà nessuna redenzione. Ci sarà soltanto una dimostrazione di cosa può portare l'avidità dell'uomo. Mi sento strano a dirlo, ma devo ammettere che questo film non sarebbe stato lo stesso senza la presenza di Adam Sandler, che i registi elevano all'ennesima potenza. Questo è il suo ruolo della vita e spero di rivederlo ancora recitare così in futuro.
I Safdie non vogliono narrare una storia in maniera lineare e non vogliono nemmeno dare una rappresentazione semplicistica del mondo in cui i loro personaggi vivono. L'America consumista ed edonista di Uncut Gems è una società divisa in comunità, che vivono in mondi completamente diversi l'uno dall'altro. Una comunità come quella ebraica rappresentata nel film non cercherà il rapporto con le altre e allo stesso tempo quella afroamericana non ne sentirà il bisogno. Ciò provocherà divisioni, che porteranno ogni cittadino a pensare per il proprio tornaconto personale. I Safdie quindi in un certo senso invitano lo spettatore a riflettere sull'inutilità dei soldi, delle differenze e di tutti i conflitti causati da essi. Nel film l'oggetto a cui ruota attorno la trama arriva grazie a un gruppo di minatori ebrei africani e la più grande speranza dell'uomo bianco diventa l'afroamericano cestista, in grado di ribaltare le sorti della partita e anche della sua vita. Quindi le differenze di carattere razziale, religioso e sociale alla fine altro non sono che futili caratteristiche che non ci rappresentano realmente, ma evidentemente questo per molte persone è un pensiero troppo complicato da comprendere.
Questo Uncut Gems è un film straordinario. Una di quelle sorprese che mi hanno tenuto attaccato allo schermo senza mai sbattere ciglio. Uno di quei film che spero possano scoprire e amare più persone possibili.
In tutto questo attendiamo con ansia il nuovo film, già annunciato per non so quando, dei Fratelli Safdie, sperando che questa volta esca al cinema.
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