Regia di Robert Eggers vedi scheda film
And here we go again, come direbbero in America. Ci risiamo. Eccoci ancora una volta a parlare di un film tanto incredibilmente incensato dalla critica quanto incredibilmente insulso; eccoci, per la seconda volta, a parlare di un’opera dell’ormai “aulico” Robert Eggers assurto dalla medesima critica di cui sopra a nuovo genio della cinematografia postmoderna, ovvero post-logica.
Rieccoci a parlare, in sostanza, di un nuovo “capolavoro” dell’horror (horror si fa per dire) odierno; ovvero: rieccoci a parlare della solita melma, melassa, vischioso sottoprodotto dell'"intellighenzia artistica", rimescolata, riscaldata e rigettata in faccia all’ignaro pubblico, un cosiddetto film, impregnato di immagini che si vorrebbero altamente significative e dialoghi a quanto pare arguti e profondi (molto, si capisce, “penetranti della natura umana”), protratto all’infinito e, tanto per non farsi mancar nulla, pure così diretto e plateale nel suo sfidare con una sfrontatezza inedita il ridicolo da sfuggire a qualunque definizione (finendo per assomigliare, in questo, all’opera prima del regista, ovvero quell’altro gran capolavoro molto esaltato rispondente al nome di The Witch).
Eggers, in mancanza di una vera storia da raccontare e, soprattutto, in assenza di qualcosa da dire di vagamente nuovo circa la natura umana, il crollo della ragione, la follia e quant’altro si accontenta di “regalare” al pubblico un sedicente horror psicologico “bello” in superficie (fotografia, scenografia e, soprattutto, recitazione), dunque anche si potrebbe dire fin apprezzabile, in alcuni casi, dal punto di vista puramente formale, che però si esaurisce in un nulla di fatto; un film all’interno del quale è inutile andare a ricercare chissà quale profondo significato (perché, ovviamente, nonostante quello che il furbo regista continua a suggerire, non v’è alcun significato, alcun senso, alcuna ragione di sorbirsi tutta la sfiancante litania), un film evanescente, vacuo e irritante, privo di qualunque logica, che difatti evita accuratamente di chiarire checchessia (sempre il solito vecchio, stanco stratagemma...).
Un film peraltro imbottito di tanta e tale paccottiglia (tra visioni “mistiche” [folgorazioni metafisiche] e molto terrene masturbazioni seriali, tra sirene e piovre rilascianti ambigui liquidi gelatinosi, gabbiani, nebbie grandemente metaforiche ecc. ecc.) nonché di tanti e tali pregnanti riferimenti “elevati” (Dio, ma anche Prometeo e, perché no?, pure Poseidone, Davy Jones, Moby Dick, e ovviamente non dimentichiamoci de La ballata del vecchio marinaio…) da indurre a pensare che, nelle intenzioni del regista, dovessero servire alla costruzione di un qualche discorso, ma che nei fatti risultano buttati lì un po’ alla rinfusa giusto per darsi un “tono” (sempre che di "tono" si possa parlare nel caso di certe immagini e non di mal riuscito tentativo di darsi alla commedia...).
Che è un po’ ciò che si può dire anche della tecnica: decisione di girare in B/N e con un rapporto (1.19:1) inusuale, che produce un’immagine quasi quadrata, giusto per darsi un "tono" e tentare, non troppo efficacemente, di mascherare l’insulsaggine di fondo, nonché per avvantaggiarsi in previsione dell’ovviamente “puntigliosa” analisi dei critici e del pubblico fanatici del più deteriore cinema indie, d’essai, arthouse (ovvero di quello più insensato che si diverte a prendere per i fondelli gli spettatori lasciando presagire una qualche recondita genialità laddove è invece più che corretto rivenire nulla più che fin troppo chiara assurdità), che sicuramente riserveranno a questo The Lighthouse i più alti onori, obnubilati, anzi, meglio, abbagliati oltre ogni dire da questa grande, brillante, genialissima idea tecnica e dal grande, imperscrutabile, immensissimo capolavoro che ha generato.
D’altra parte, come si era già visto nella sua opera prima, Eggers non ha alcun senso della misura e, via via che ci si avvia alla conclusione, fa precipitare sempre più il film nella totale ridicolaggine (non riuscendo forse a battere l’ilarità involontariamente suscitata dagli ultimi minuti dell’altro film, ma andandoci maledettamente vicino).
Di conseguenza, ma c’era da aspettarselo, tra monotonia, insulsaggini e momenti quasi esilaranti il suo film non fa mai paura, non riesce mai a suscitare autentica inquietudine e, più che angoscia, induce in ultima istanza tedio e sfinimento.
Non ha un senso, non ha una storia da raccontare, non ha neanche chissà quali immagini capaci di lasciar di stucco da mostrare, talvolta si lascia prendere fin troppo la mano, e dunque cosa rimane di questo film? Le impressionanti prove d’attore dei due protagonisti, in particolare di un camaleontico Dafoe a mezza strada tra un Capitano Achab e un Long John Silver di pappagallo sprovvisto. Punto. Basta per giustificare la visione di questa pesantissima e tediosissima opera? Beh, dipende da come la si pensa, ma per chi scrive senza ombra di dubbio no.
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