Regia di Robert Eggers vedi scheda film
Notevole horror d'autore. Prova attoriale gigante dei due protagonisti.
Siamo alla fine dell’ottocento, Thomas Howard alias Robert Pattinson, in fuga dal suo passato, accetta un lavoro di un mese, come collaboratore del guardiano del faro, in un’isola del New England ,praticamente uno scoglio disabitato; c’è solo questo anziano burbero, Thomas Wake alias Willem Dafoe, che da subito mette in chiaro le gerarchie: lui comanda e Howard esegue, occupandosi delle mansioni più pesanti e umilianti; le giornate scorrono fra carbone, fango, pioggia che batte quasi incessante e le continue vessazioni ai danni di Howard; la lanterna del faro, è custodita da Wake come fosse il Sacro Graal, ed è "off limits" per Howard, al quale viene tassativamente vietato di avvicinarsi. La convivenza, in tale contesto e tra due siffatte personalità è complicata; Wake, soprattutto a tavola, è logorroico e spesso indugia in soliloqui che Howard non gradisce, anzi si schermisce, “non mi piace conversare” Nel frattempo rinviene una statuina di donna, che nasconde e che utilizza per masturbarsi rabbiosamente; spesso è preda di orrende visioni, una sirena mostruosa sembra stia per ghermirlo; poi un gabbiano guercio lo attacca e lui lo uccide selvaggiamente, malgrado Wake gli avesse intimato di non farlo, secondo alcune leggende, questi volatili sarebbero l’incarnazione di marinai morti. Si arriva all’ultimo giorno, ma le avverse condizioni del tempo impediscono l’attracco, al battello che li dovrebbe riportare sulla terraferma; le provviste si esauriscono e l’unica cosa che i due uomini rimediano è un grande quantitativo di bevande alcoliche, cosi abbandonati a se stessi, perlopiù ubriachi fradici, perdono ogni cognizione spazio-temporale e il contatto con la realtà, in un climax di paranoia e tensione, scivolano nella completa alienazione mentale; alla fine Howard dopo aver subito tante angherie, si ribella al suo aguzzino e prima lo mortifica e poi lo uccide, impossessandosi della chiave del faro, sale le scale a chiocciola , ma quando finalmente vede la “magica” luce, ne rimane “abbagliato” e cade giù per le scale. Ottimo horror d’autore complesso ed enigmatico; tante tematiche e altrettanti interrogativi, perlopiù senza risposte. Il regista è stato influenzato da diverse opere letterarie a partire da Edgar Allan Poe, autore di una sorta di diario incompleto, in cui un uomo alla ricerca di solitudine si stabilisce in un faro fatiscente, a seguire “la ballata del vecchio Marinaio “di Samuel Taylor Coleridge, dove l’uccisione di un albatros da parte di un incauto marinaio, scardina il precario equilibrio tra uomo e natura, scatenando forze metafisiche, poi ”il tempio” di H.P. Lovecraft: il ritrovamento di una piccola statuina, fa perdere la ragione a dei marinai. Altro motivo d’ispirazione, un fatto di cronaca avvenuto nel 1801; a guardia del faro a largo della penisola di Marloes, erano stati posti due uomini Gallesi, notoriamente non molto affiatati: Howell e Griffith. Quando Griffith morì in uno strano incidente, Howell, temendo di esserne incolpato, seppellì il corpo nella sabbia, ma in modo così maldestro, che a causa di venti, dopo qualche tempo, emerse il braccio del cadavere, che puntava il dito verso la finestra di Howell. Quando i colleghi andarono a dargli il cambio, lo trovarono terrorizzato e impazzito.L’opera è una stratificazione che si presta a una moltitudine di interpretazioni; Il tema padre/figlio nella lotta tra Wake e Howard, riprende il complesso edipico di Sigmund Freud. Poi c’è quella più intrigante, cioè la rilettura del mito di Prometeo: nel guardare la luce del faro, simbolo forse di conoscenza e potenza, Howard ne rimane folgorato fino a perdere i sensi, per poi venire dilaniato dai gabbiani nella sequenza successiva, come l’eroe greco, che per aver donato il fuoco divino agli esseri umani, aveva subito lo stesso destino; tante suggestioni, pur essendo tutto ridotto all’essenziale: un’isola, un faro, la natura selvaggia e due persone, che si incontrano e scontrano in un susseguirsi di immagini, simboliche e stranianti. L’orrore è reso bene in virtù di un estetica che si rifà al cinema espressionista tedesco, di cui sembra che Robert Eggers abbia fatto tesoro, in un’esperienza visiva dalla dirompente potenza iconografica, grazie anche alla fotografia del maestro Jarin Blaschke, che con un gioco di luci e chiaroscuri, allestisce una scenografia di grande atmosfera, a partire dal format, quasi quadrato e in bianco e nero, un 1.19:1, usato ai primi tempi del cinema sonoro, funzionale a valorizzare lo sviluppo verticale delle inquadrature, girato sulla Double-X 5222, una delle due pellicole per il bianco e nero ancora prodotte da Kodak; poi per realizzare immagini “antichizzate” Blaschke ha usato uno speciale filtro ciano, che non lascia passare i colori rossi, che infatti appaiono neri, di conseguenza ogni schizzo di sangue appare scuro; un’altra buona trovata è il set di vecchie lenti,prodotte tra il 1918 e il 1938 e utilizzate all’uopo. Le magistrali interpretazioni dei due attori protagonisti , impreziosiscono una pellicola che non si può dimenticare
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