Regia di Robert Eggers vedi scheda film
Opera ambiziosa di Eggers, tuttavia appesantita dai troppi richiami ad altre opere e ad altri settori dell'arte, che finiscono per sovrastare la struttura della narrazione facendone risaltare la componente citazionistica. Peccato perché i due attori sono straordinari (in particolare Willem Dafoe) e il regista denota un notevole talento.
Robert Eggers, non è un mistero, contende ad Ari Aster il titolo di enfant prodige del cinema horror, anzi i due sembrano aver creato un nuovo modello per il genere, un approccio lontano da un metodo che potremmo definire “tradizionale” (e che vede oggi forse il suo nome più di richiamo nel James Wan di The Conjuring), un approccio che sembra voler traghettare il genere nell’alveo del “cinema d’autore”.
Eggers aveva attirato l’attenzione non solo degli appassionati dell’horror ma più in generale dei cinefili con l’interessante The Witch, che già presentava le caratteristiche di un lavoro in cui dietro la maschera dell’horror si palesava altro: un complesso di riflessioni sugli eccessi del fanatismo religioso, sul ruolo oppressivo della famiglia e su una società chiusa nel tradizionalismo che rifiuta chi non sa accettarne le regole.
Con questo The Lighthouse il regista pare tentare un ulteriore balzo in avanti arricchendo il suo modo di intendere la costruzione di un’opera cinematografica con elementi ancora più speculativi.
Del resto la scelta di una storia così semplice (due uomini obbligati a trascorrere insieme un periodo di isolamento forzoso a causa del loro lavoro, ovvero custodi di un faro abbandonato nel nulla di un mare ostile) appare già come emblematica: un tavola bianca su cui il regista può gettare i colori (molto cupi) con cui eseguire un ritratto dei lati più oscuri che possono caratterizzare i rapporti umani.
Fin dalle prime battute i due personaggi, protagonisti della vicenda, denotano una serie di tratti che li pongono su fronti assolutamente differenti, nulla sembra lasciar intendere che il loro possa essere un rapporto di solidarietà tanto è forte la contrapposizione fra i loro caratteri. E se all’inizio il ruolo del cattivo sembra calzare alla perfezione sul più anziano ed esperto dei due, Thomas Wake (uno straordinario Willem Dafoe) i cui modi incivili e privi di qualunque empatia nei confronti del compagno lo rendono sgradevole senza redenzione, in poco tempo nel dipanarsi della vicenda emergono le ambiguità del giovane Ephraim Winslow, a cominciare da una identità che pare occultare la personalità dell’autore di un (presunto) omicidio.
Partendo da un racconto incompiuto di Edgar Allan Poe, Eggers sviluppa una storia in cui il motivo conduttore appare subito la complessità dell’animo umano ed in particolare delle zone più oscure dello stesso, come testimonia peraltro la scelta (già ricordata sopra) di ritrarre il tutto con un livido ed inquietante bianco e nero. Nel perseguire il suo scopo il regista però perde il senso della misura, abbandonandosi ad un mare di citazioni e richiami culturali più o meno palesi, alcuni assolutamente espliciti come quello all’opera di Sascha Schneider Hypnosis, altri più sfumati, quasi un malcelato invito allo spettatore a cercare una bussola nella mappa dei riferimenti che intasano la narrazione, rischiando di farla annegare in questo intrico di rimandi a opere, ambientazioni, credenze, riti marinari e quant’altro.
Si va dalla figura del gabbiano (elemento dalla forte simbologia nella cultura marinara) che pare voler perseguitare il povero Ephraim fino alla rappresentazione dell’oscurità del desiderio sessuale che si materializza nella figura della sirena, dapprima statuetta ritrovata per caso (ma forse no) nel faro e poi oggetto degli incubi che affliggono Ephraim, anello debole di un dualismo cui si contrappone dall’altra parte l’arroganza di Wake, a sua volta novello capitano Achab di melvilliana memoria.
Wake che custodisce il faro, o meglio i segreti della sua luce abbagliante, negandoli al compagno, che lo spia e che ad un certo punto intravede persino sordidi tentacoli che sembrano comparire dal nulla e che molti hanno visto come un richiamo a Lovecraft (che almeno in questa occasione appare davvero chiamato a sproposito, come del resto già per The Witch).
Non si può negare che The Lighthouse sia un’opera affascinante, realizzata da un regista dotato indiscutibilmente di mezzi che lo fanno emergere nel panorama cinematografico attuale, ma è anche un festival degli eccessi, la cui ambizione pare strangolata da quel mare di richiami a qualcos’altro che dovrebbero rappresentarne il punto di forza e invece ne rappresentano la sostanziale debolezza. E come Prometeo, richiamato nelle battute finali, fu punito per aver sfidato la volontà degli dei (un’altra ribellione, come già in The Witch) così Eggers finisce per essere punito da un lavoro in cui è stata messa troppa materia per risultare veramente riuscito e che non viene salvato dalle pur ottime prove dei due attori protagonisti.
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