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Little Joe

Regia di Jessica Hausner vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Little Joe

di laulilla
4 stelle

Complessivamente deludente il secondo film visibile in Italia di Jessica Hausner.

 

Sembra di una fiaba l’inizio di questo film, che ci immerge, dalle prime scene, nella realtà livida e raggelante di una serra tutta vetri e strutture metalliche, che, tra gli stridenti suoni fuori campo e i rumori sibilanti della (non) musica di Teiji Ito, si tinge all’improvviso delle nebbiose emissioni color magenta sprigionate dai fiori aperti di alcune piantine che stanno crescendo insieme ad altre varietà di bellissimi fiori in grave sofferenza.


Un team di ricercatori, attentissimi agli umori volubili dei compratori, oltre che alle norme internazionali in tema di OGM, aveva creato quei germogli e ora ne segue lo sviluppo per destinarli, infine, ai floricultori delle fiere-mercato.


Alice (Emily Beecham), giovane e intraprendente studiosa, lavorando di notte per aggirare segretamente ogni norma, era riuscita a creare la piantina che dal suo fiore aperto, quasi rispondendo alle cure, spargeva tutt’intorno quella nebbia colorata insieme al più soave dei profumi, inebriante a tal punto da determinare in chi lo respirava una condizione di euforica beatitudine, forse la felicità.

Era nato però il dubbio che quei suoi vapori misteriosi danneggiassero le piante contigue che stavano rapidamente disseccando, mentre altri inquietanti fenomeni colpivano gli uomini e gli animali che le si avvicinavano.

 

Alice
Alice era una donna graziosa e giovane; viveva per il suo lavoro e per il figlio Joe, quasi adolescente, molto legato a lei, che vedeva poco, perché gli orari di lavoro la tenevano lontana da casa per troppo tempo. Era separata dal marito, che aveva scelto di vivere in campagna, dove nei weekend arrivava Joe, che non lo amava.

Avendo ridotto al minimo i rapporti familiari, Alice si sentiva in colpa e perciò si faceva seguire da una psicanalista che la consigliava e le dava preziose informazioni, rafforzandone le convinzioni circa il rapporto con Joe, qualitativamente ben più importante di ogni qualsiasi relazione genitoriale a pieno tempo.
Alice non era affatto convinta che il dolcissimo profumo della sua piantina fosse all’origine di tutti i mali che affliggevano il laboratorio, cosicché, senza timore alcuno, ne aveva donato un esemplare a Joe, in onore del quale l’aveva battezzato Little Joe, assicurando al bambino che quel profumo di felicità  l’avrebbe ben ripagato delle sue cure e delle sue attenzioni.

 

Diventando un giovanotto, Joe cambia, diventa più combattivo, rivendica una maggiore autonomia e comincia ad apprezzare quel padre che non gli chiede nulla, invita la ragazzina che gli piace, e lo coinvolge in alcune attività gratificanti, molto diverse dai soliti noiosi esercizi di apprendimento attraverso i libri di scuola.

Alice non lo riconosce più e comincia anche lei a nutrire dubbi sulle emissioni (velenose?) della piantina che Joe non smette di curare e di cui la ragazzina sembra indovinare il segreto: la sensualità.

 

 

 

La regista, a questo punto, ci spiazza davvero: se nella prima parte del film aveva creato la giusta tensione narrativa con elegante compostezza, e noi avevamo seguito con molta preoccupazione Alice travolta dalle incomprensioni dei suoi colleghi, ora ci chiediamo se quelle incomprensioni non fossero state provocate da una paranoica volontà perfezionistica proprio da lei, tirannica e autoritaria perfino col figlio, la cui crescente autonomia non le piace affatto.


Come in Lourdes, Jessica Hausner non prende posizione, come se fossero sullo stesso piano gli interrogativi morali ed esistenziali di fronte alla malattia e alla morte e i capricci ambiziosi di una madre egoista che nega la propria presenza, confidando sulle presunte doti sostitutive di una piantina profumata.


Sconcertante banalizzazione, che lascia davvero perplessi. Peccato.

 

 
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