Regia di Pablo Larrain vedi scheda film
“Ema”, fin dai primi minuti, attira lo sguardo abbacinato dello spettatore grazie a immagini desideranti, erotiche, cesellatrici di un desiderio sofferto e sofferente, probabilmente impossibile, sicuramente soffocato. È un cinema dichiaratamente lirico quello di Larraìn, lo è sempre stato (guardate ad esempio “Jackie” o “Neruda”), ma qui più che in passato urla a squarciagola la propria necessità di emergere dal buio del dolore, dagli abissi di una solitudine e di una perdizione perfettamente personificate nel personaggio di Ema, nel suo corpo sensuale e sfuggente.
Ciononostantesarò franco: fino a metà non mi sono apparse per nulla chiare le dinamiche messe in campo e anche a film terminato mi è rimasta la sensazione di un quadro complessivo sfuggente, tasselli mancanti di un complesso terribilmente ellittico, di una narrazione in sottrazione come il primo Lanthimos, ma qui ancora più difficile da esplorare nella completezza di tutte le proprie dinamiche.
Larraìn occulta, scopre le carte del racconto troppo lentamente in rapporto all’urgenza metaforica sbandierata e rincorsa. Si nasconde dietro alla molteplicità di allegorie deduttive (la piromania di Ema), più interessato alla messinscena (provocatoria?) del corpo e dell’eros che del sentimento.
Un film respingente e anaffettivo, come la propria protagonista, come i dialoghi cattivi e dis-umani che attraversano tutto il film con cinica insistenza. Anela alla libertà del sé, all’emancipazione di un io femminile, ma rimane confuso nella propria presa di posizione e lontanissimo dall’anima e dal cuore.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta