Regia di Pablo Larrain vedi scheda film
Pablo Larrain è un regista cileno fra i più interessanti della generazione di quarantenni a livello internazionale, di cui finora ho visto poco, ma con il suo "Neruda" mi aveva suscitato un entusiasmo indescrivibile che mi aveva fatto gridare al capolavoro assoluto. Questo "Ema" è il suo ottavo lungometraggio ed è una pellicola fra le più criptiche, immerso in atmosfere che hanno una risonanza metaforica fin troppo esplicita, ma pur non avendomi stregato come "Neruda" o anche il precedente "Il club" sul tema della pedofilia nella Chiesa, resta film di grande bellezza nelle immagini ed opera da meditare nei contenuti. Si tratta del percorso della protagonista, a dire il vero quantomai tortuoso, per raggiungere una propria identità di madre e di donna, dopo che il figlio adottivo che era stato affidato a lei e al compagno Gaston, Polo, provoca disastri appiccando un incendio in cui resta gravemente ferita una sorella di Ema; per giungere a capire le sue potenzialità di madre Ema dovrà sperimentare il potere della street dance, diventare una sorta di incendiaria con il lanciafiamme, litigare e separarsi da Gaston e stringere due relazioni extraconiugali parallele con i nuovi genitori adottivi di Polo, Raquel e Anibal, fino ad un finale che non rivelo ma che vedrà un sorprendente rimescolamento di tutta la situazione. Larrain forse ha buttato nel calderone fin troppi elementi disparati, con qualche rischio di confusione e qualche perplessità sulle scelte della sua protagonista, che si trasforma da artista incapace di affrontare il peso delle responsabilità di una famiglia a bisessuale per necessità (?), fino a diventare una specie di angelo salvifico che può ristabilire un patto sociale su nuove basi nel finale; il tutto con ovvi agganci alla liberazione della donna dalle catene del patriarcato, alla scelta di una sessualità consapevole e ai diritti dell'infanzia, spesso negati nei paesi ancora in via di sviluppo, ma non solo. Larrain esprime questi temi con un andamento un po' ondivago della narrazione, che prevede l'alternanza di momenti forti e sequenze volutamente opache, e mi sembra che il suo stile vada a segno un po' ad intermittenza rispetto alla pienezza e alla potenza spettacolare di "Neruda". I suoi quadri restano affascinanti dal punto di vista visivo, molte intuizioni si rivelano coerenti al discorso che porta avanti nell'opera, ma manca qualcosa nell'ordine della sintesi, tanto che si potrebbe definire Ema un film suggestivo ma volutamente irrisolto. Nel cast preferisco la faccia da cane bastonato che Gael Garcia Bernal conferisce al suo Gaston, mentre Mariana Di Girolamo pur professionalmente ineccepibile contribuisce ad una certa sensazione di spaesamento provata dallo spettatore.
voto 7/10
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