Regia di Pablo Larrain vedi scheda film
È uscito nelle nostre sale, ed è ben distribuito, l’attesissimo ultimo film di Pablo Larrain, Ema, che, nel 2019 a Venezia, era stato accolto con molte polemiche, dividendo la critica (non solo in Italia) e anche il pubblico in due inedite tifoserie di cui non mi sento parte.
Sullo sfondo della moderna Valparaiso, la più turistica delle città cilene, si svolge la vicenda che ha come protagonista Ema (Marianna Di Girolamo), giovane ballerina che ha sposato il coreografo Gaston (Gael García Bernal), di vent’anni più vecchio. Matrimonio d’amore, parrebbe, ma senza figli, fonte perciò di gravi sofferenze per lei, che dopo aver tentato invano la via della fecondazione assistita, aveva deciso, d’accordo con lui, l’adozione di un bambino. Nella loro vita, dunque, era entrato Polo, dieci anni, probabilmente malvissuti, riottoso a ogni forma di educazione che tentasse di frenarne l’incoercibile piromania.
Come talvolta capita nella vita, alle loro ottime intenzioni di accogliere amorosamente un bambino in difficoltà, con i genitori in galera, la realtà si rivelava in tutta la sua durezza: il piccolo e sadico Polo, come Cecco Angiolieri, avrebbe arso il mondo, ma non potendo farlo si era accontentato di ardere la zia, bruciandole il volto e compromettendone la vista. L’evidenza dell’ inadeguatezza di entrambi i genitori adottivi a far fronte a una situazione vieppiù …incandescente aveva indotto Ema a riportare indietro il bambino, ovvero a ricacciarlo in quel brefotrofio da cui l’aveva fatto uscire. Gesto crudele, fonte di recriminazioni e sensi di colpa che rapidamente avrebbero dissolto il matrimonio e indotto lei a esplorare il mondo, finalmente libera dalle gabbie che avevano fin allora imprigionato la sua intelligenza e la sua energia vitale.
Per Ema si era trattato di immergersi nella realtà nascosta di Valparaiso, nelle sue strade, nelle suggestioni trasgressive del reggaeton, la danza che avrebbe acceso il fuoco dei suoi istinti più profondi, rifutando le briglie ricattatorie dell’amore matrimoniale, ma non la sessualità né la maternità, né la famiglia, purché aperta al resto della società, così promiscua e allargata da rendere impossibile il possesso dei figli e la genitorialità tradizionale.
La proposta “sovversiva” del film si accompagna a immagini simboliche di fiamme e di incendi, questa volta completamente digitali, a cui si alternano le danze orecchiabili del reggaeton, le scene di sesso e di droga rese, nell’intenzione di Larrain, più suggestive e coinvolgenti grazie ai colori “lisergici” che ammiccano al giovanilismo di chi in un globale incendio palingenetico, vedrebbe il modo per far emergere “nuovi” valori, dei quali Ema si fa portavoce, con la sua disturbante e fascinosa femminilità istintuale e creativa, utile a liberare tutti, al di là degli orientamenti sessuali, dalle catene del conformismo sociale che le leggi perpetuano…
La proposta di Ema risulta più o meno convincente a seconda dei punti di vista di ciascuno di noi (personalmente mi convince poco poiché la ritengo viziata da un insopportabile rivendicazionismo post-femminista-populista-metoo), ed è comunque espressa con coerenza visionaria da un Larrain un po’ diverso dal solito, talvolta alquanto irritante per eccesso di enfasi incendiaria.
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