Regia di Roy Andersson vedi scheda film
“Sulla infinitezza”, come il precedente “Un piccione seduto sul ramo riflette sull’esistenza”, è un collage di elementi, macchiette e situazioni che paiono quasi furbamente coniate per risultare impossibili da far rientrare in un fil rouge. Una scappatoia per giustificarne la mancata comprensione? Ma quanto ha da dare questo cinema che è puro artificio della costruzione?
Non mancano visioni indubbiamente poetiche in “Sulla infinitezza” (i due amanti che fluttuano nel cielo sopra la città in rovine), ma è davvero arduo scendere a patti con questa poetica che concede così poco allo spettatore e che, nella propria indubbia e manifesta natura di replica (non solo il “Piccione” ma anche “Canti dal secondo piano” e “You, the living”, ad esso precedenti, presentano la medesima struttura), sfiora troppo spesso la provocazione.
Quello di Roy Andersson è uno stile certamente unico, che si ama o si odia. Un cinema così interamente focalizzato sulla costruzione minuziosa e scrupolosa della propria impalcatura piacerà più facilmente agli “addetti ai lavori”, al cineasta che in quanto tale filtra spontaneamente la messinscena con la lente d’ingrandimento. E sia. Va benissimo. Ma se proprio volete esplorare il grottesco, stravagante e bislacco mondo di Roy Andersson no, non partite da qui, ma dall’inizio, da quel “Canti dal secondo piano” che ha dato il vero e proprio La al suo percorso stilistico.
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