Regia di Roy Andersson vedi scheda film
Pose fotografate, fotografie di pose. Altro non è l’ultima gestazione (sembra ci siano voluti dieci anni per concepire questa sua ultima opera) di Roy Andersson. Ma nulla è volto a sminuire questa sua pellicola, anzi. Nel complesso, grazie anche all’intelligenza di comprimere tutto all’interno di una durata che va di poco oltre i sessanta minuti, il film è piacevole.
Andersson sembra voler immortalare la semplicità, oscillando tra la routine giornaliera e l’assurdità di situazioni oltre la normalità, raccontando il tutto attraverso lo stesso metodo: fotografie di quello che verosimilmente potrebbe essere un quotidiano.
La palette di colori utilizzata è sempre la stessa, tra grigi, blu e marroni; laddove la cromia predominante varia a seconda delle situazioni: in circostanze tristi o spiacevoli predomina il blu mentre in quelle comiche o comunque rassicuranti è il beige (o marrone chiaro) a farla da padrone.
Anche l’utilizzo di attori dal volto comune, finiscono per rendere le situazioni, rese complicate da una messa in scena non accessibile o quanto meno piacevole a chiunque, più empatiche con lo spettatore medio che si trova al cospetto di una forma d’arte che è più propria della pittura che del cinema.
Come in una mostra-a-video Roy Andersson, dimostra ancora una volta, di essere più pittore che regista, più fotografo di vita che narratore, anche se la voce fuori campo, risulta essenziale (?) per collegare la visione.
Affascinante l’immagine di apertura, che poi si ripete nel mezzo della proiezione, dei due amanti che sorvolano una qualche città, abbracciati dal blu e dall’amore che sembra, in un certo qual modo, essere il filo conduttore dell’intero film.
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