Regia di Roy Andersson vedi scheda film
E' la suggestione da Le Mille e una Notte a suggerire a Roy Andersson come raccontare il mondo, un racconto infinito in un film che vorremmo non finisse mai
Se guardiamo una foto di Roy Andersson ci sembra di vedere la faccia di certi suoi attori, stessi occhi amichevoli e un po’ beffardi, guance paffute, la bocca stretta in un sorriso trattenuto mentre guarda lo spettacolo del mondo, anzi, stavolta guarda l’ infinito dall’alto della galassia, about endleness, poi viene giù fra noi e ce lo racconta in pillole, scenette minime, parole al contagocce e una voce di donna che ogni volta comincia così : Ho visto …
Scheherazade e le mille e una storia dell’uomo, nessuna è banale, non esiste questa parola nel suo vocabolario, e un padre che lega il laccio alla scarpa della bambina che accompagna ad un compleanno sotto una pioggia sferzante, mentre l’ombrello scappa via nel vento, è eccezionale come la lunga marcia dei prigionieri di un esercito sconfitto che avanzano come formiche nere sulla pianura sterminata di neve verso la Siberia.
Una coppia di amanti fluttua abbracciata fra le costellazioni e guarda giù sulla terra questo grande, infinito spettacolo della vita, della morte, delle gioie e dei dolori, delle speranze e delle delusioni, delle frustrazioni e delle paure. E non manca la crudeltà.
Guardano dall’alto le rovine di una città distrutta dalla guerra, era una bella città, Colonia, dice triste la voce esterna, poi entrano in qualche studio medico, posto fra i più frequentati dalla specie umana, e un prete che ha perso la fede chiede allo psicanalista cosa può fare, ma quello non sa e sposta l’appuntamento alla prossima settimana. Dal dentista un paziente ha paura delle iniezioni, vorrebbe farsi cavare un dente senza anestesia e il medico, spazientito dalle sue urla, lo molla lì e se ne va a bere un bicchiere al bar.
E la neve cade, lenta e silenziosa, oltre le ampie vetrate del locale mentre arrivano le note di Merry Christmas e un alberello di Natale è poggiato sul davanzale.
Intanto il prete, ossessionato dalla fede perduta, si consola bevendo mezza bottiglia del vino della Messa prima di distribuire la comunione.
Scorrono sullo schermo momenti topici della storia dell’uomo, si affaccia perfino Hitler sulla porta del bunker, salutato stancamente dai gerarchi che evidentemente non ne possono più di lui, o passa Cristo in marcia con la croce, ma non sul Calvario, è sulla strada in salita di una cittadina qualsiasi dove, fra negozi e via vai, la gente guarda senza capire. Quattro o cinque picchiatori massacrano di colpi il povero Cristo che cade, si rialza e continua a dire “Cosa ho fatto di male?”, finchè non si sveglia di colpo dall’incubo, ed è sempre lui, il prete senza fede.
Il mondo dei sogni è parte della realtà, anzi, è una sua dilatazione verso l’infinito e ci fa brutti scherzi se abbiamo un problema.
Da un quadro all’altro Andersson fa sfilare un campionario umano che sulle prime diremmo surreale, ma poi, a pensarci bene, diciamo no, è tutto così o più o meno così, si ride, si piange, si spera e dispera, ci si arrabbia spesso, è come dal finestrino di un treno, guardiamo fuori e passa il mondo intero ridotto in rapidi schizzi.
E crediamo di dimenticare, ma tutto si raccoglie in una nicchia e ne salta fuori all’improvviso, nei sogni, nei ricordi, in un guazzabuglio colorato, spesso divertente, altre volte amaro, tutto dentro e dietro di noi.
Come il signor xy (provate voi a ricordare i nomi svedesi!) che un bel giorno voleva preparare un gran pranzo alla moglie.
Bene, ci racconta lui stesso arrivato in cima alla scalinata col fiatone (è decisamente su di peso) e con le borse della spesa, che giorni prima l’ha superato tale wz. xy l’ha riconosciuto, era un compagno d’Università di secoli prima. L’ha salutato e quello ha tirato dritto senza rispondere, c’era stato uno scazzo al tempo fra loro, e c’è chi non dimentica.
Ma poi il nostro xy, mentre la pentola bolle, si sfoga con la moglie che l’ascolta paziente in silenzio. wz non valeva niente, eppure ha fatto carriera all’Università, e lui? Lui niente, la bile si diffonde sulla sua faccia e la poverina lo guarda esterrefatta.
Quando fra una storia e l’altra per la quinta volta torna la coppia di amanti a svolazzare nel cielo abbiamo già capito che il bello e il brutto, il buono e il cattivo, il dolce e l’amaro ci saranno sempre ma mescolati, confusi tra loro, in una infinita tela a colori con qualche strappo qua e là, ma poi c’è l’amore, lo sosteneva anche Chagall, e allora siamo salvi, continuiamo a raccontare tutte le nostre storie in un film infinito.
Roy Andersson infatti la vede così: “Con l'aiuto dell'astrazione, ho fatto dialogare i vivi con i morti in Canti dal secondo piano e mi sono immerso nella dimensione onirica di . Ho raccontato storie su di noi e sul nostro tempo con le sequenze incredibilmente anacronistiche come quelle presenti in Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza, (n.d.r. Leone d'Oro al Festival di Venezia 2014) dove il re svedese Charles XII mentre si reca in Russia nel 1708 fa una breve sosta in un bar di una periferia contemporanea perché ha sete o al ritorno perché deve usare il bagno".
Ora è la suggestione da Le Mille e una Notte a suggerire a Roy Andersson come raccontare il mondo: “Come i tanti racconti di Scheherazade affascinavano re Shahryar, spero che anche le scene di About Endlessness siano così interessanti e affascinanti da portare il pubblico a volerne vedere ancora un'altra e a pretendere che il film non finisca mai”.
E anche noi vorremmo che non finisse mai, e allora aspettiamo le prossime storie infinite.
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