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Il grande Lebowski

Regia di Joel Coen vedi scheda film

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La recensione su Il grande Lebowski

di Peppe Comune
9 stelle

Una palla di rovi che ruzzola nel deserto e una voce off ci introducono nell''illuminata città di Los Angeles per immergerci nella strana storia che capita a Jeffrey "Dude" Lebowski (Jeff Bridges), un antieroe romantico che è sceso dal pullman della storia negli anni settanta, un hippy che ama starsene in vestaglia e pantofole in un mondo che si è costruito su misura della sua pigrizia. Ama il bowling, la marjuana e il White Russian (un cocktail a base di vodka, liquore a caffè e crema) ed è circondato da un universo di perdenti come lui : gli amici fidati, come lo svagato Donny (Steve Buscemi) e il folle Walter (John Goodman), un reduce dal Vietnam il cui divorzio dalla moglie ha reso particolarmente irascibile, o i rivali al gioco, come il campione"pederasta" Jesus Quintana (uno strepitoso John Turturro). Tutta gente che ruota attorno alla pista da Bowling, affatto preoccupata della guerra nel golfo in corso, a loro basta uno strike per sentirsi socialmente appagati, orgogliosi della marginalità e del disimpegno da un mondo che è andato avanti peggiorando sempre più la sua condizione di salute. Ma un giorno Dude Lebowski viene catapultato in un mondo a lui alieno, dove ogni cosa ha un prezzo e le persone non sono quasi mai come sembrano, così, per un concorso di cause che gli riservono il ruolo principale in una storia che non avrebbe dovuto, ne riguardargli ne, tantomeno, interessargli. Succede che Dude ritorna a casa e viene aggredito da due brutti ceffi che gli chiedono di restituire i soldi di un debito contratto con il magnate della pornografia Jackie Treehorn (Ben Gazzara). Ma i malintenzionati si accorgono di aver sbagliato persona e che i conti li dovevano regolare con l'altro Jeffrey Lebowski, il multimiliardario filantropo. Non prima però di avergli rovinato il tappeto pisciandoci sopra. Dude ci teneva particolarmente per quel tappeto, "dava un tocco all'ambiente", e spinto da Walter va dal suo omonimo miliardario (David Huddleston) per farselo risarcire. Questa è la circostanza che li fa incontrare. Successivamente, succede ancora che Bunny (Tara Reid), la giovane moglie del signor Lebowski, viene misteriosamente rapita e lui contatta Dude Lebowski perchè vorrebbe fargli fare il corriere nella consegna del riscatto. Lui accetta perchè gli sembra una cosa semplice che gli potrà far fruttare un pò di quattrini senza particolari problemi. Ma il maldestro intervento di Walter (sempre prodigo di "buoni" consigli) ingarbuglia oltremisura l'intera vicenda trasformando la vita e la casa di Dude in una sorta di porto di mare dove una varia umanità viene a chiedere spiegazioni delle sue azioni interrompendogli la quieta serenità di sempre. Si imbatte nell’artista “concettuale” Maude Lebowski (una Jiulianne Moore che si vanta di fare un arte “apprezzata per la sua natura vaginale"), figlia e socia in affari del miliardario, nel servile segretario del signor Lebowski (Philip Seymour Hoffman), in un gruppo di “Nichilisti” (tra i quali Peter Stormare) che "non credono in niente", e in un porno produttore esaltato e tendenzialmente delinquente. Come già successo con “Blood Simple” e “Fargo”, i fratelli Coen giocano col noir svuotandolo dei suoi principali contenuti fenomenologici, facendo del caso l’elemento che scompagina i piani di mascalzoni improvvisati e che ammanta di surreale assurdità le loro malsane intenzioni. Ne “Il grande Lebowski” funge anche da collante che lega persone e mondi tra loro lontanissimi e rispetto ai capitalisti faccendieri fintamente filantropi, la simpatia dei fratelli del Minneapolis va tutta verso queste simpatiche canaglie che si ritrovano senza volerlo a partecipare a una di quelle ipocrite farse della società dei ricchi. "La rivoluzione è fallita, gli sbandati hanno perso", tuona furente il signor Lebowski all'inerme Dude Lebowski, che sarà pure un fallito perdigiorno ma è l'unico a cui i Coen attribuiscono un'umanità coerentemente figlia del suo disincanto. “Il grande Lebowski” è un film di culto ormai, degli anni novanta e non solo, con una galleria di personaggi che col tempo si sono impressi nell’immaginario collettivo (Jesus Qintana e il gruppo di Nichilisti sono ormai “leggenda”), sequenze da antologia (i sogni di Dude Lebowski coreografati come dei musical) e dialoghi irresistibili ("Questo non è il Vietnam ! E' il bowling, ci sono delle regole !" dice Walter a Dude durante una partita, oppure "Di cosa ti occupi nel tempo libero ? chiede Maude, "Mah, delle solite cose. Bowling, un giro in macchina, un trip d'acido quando capita....", risponde Dude). Per me è come "I soliti ignoti" di Mario Monicelli o“Pulp Fiction” di Quentin Tarantino (tanto per fare solo due esempi), appartiene cioè a quella categoria di film che hanno un alchimia magicamente particolare, capace di renderli dei capolavori al di là del loro valore strettamente cinematografico.

 

 

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